//L’abate

L’abate

di | 2023-01-14T15:52:45+01:00 14-1-2023 15:52|Alboscuole|0 Commenti

In una biblioteca di monaci benedettini del 1893 si diceva ci fosse un manoscritto nascosto che indicasse i passaggi per trasformare l’acciaio in oro.

Una mattina d’inverno un frate minore vi entrò per ricopiare su pergamene la Bibbia scritta in latino, quando notò un suo compagno disteso a terra, privo di vita.

Immediatamente uscì gridando per la paura, cercando l’abate maggiore che senza fretta chiamò gli agenti di polizia.

Il caso fu affidato agli agenti Guglielmo Trasfert e Carlo Annivio che immediatamente fecero un’autopsia al cadavere del monaco scoprendo che il poveretto era stato avvelenato con l’arsenico; fecero inoltre perquisire tutta la biblioteca in cui trovarono, vicino al corpo, un manoscritto greco che attirò subito l’attenzione, visto che i testi antichi in quel monastero erano solo ed esclusivamente in latino.

L’agente Trasfert decise di interrogare tutti i monaci, tranne l’abate maggiore, Orodisio, poiché in quel momento era nel pieno del riposo.

Da questi vari interrogatori gli agenti vennero a conoscenza del fatto che solo Orodiosio e la vittima parlavano e traducevano perfettamente il greco.

I sospetti ricaddero subito sull’abate che con varie scuse continuava a rifiutarsi di parlare con la polizia.

A quel punto l’agente Annivio ebbe un’idea che subito condivise con il suo collega: inseguire Orodisio per vedere se l’uomo provasse ad accedere nel luogo del delitto che nel corso delle indagini era stato chiuso a chiave.

Il giorno dopo dalle 8.45 del mattino cominciarono a stargli alle calcagna, ovviamente di nascosto.

Tutto regolare fino alle ore 11:32, stessa ora in cui avvenne il delitto tre giorni prima.

L’abate si intrufolò di nascosto nella biblioteca.

Non era però ancora il momento di agire: i due agenti morivano dalla voglia di sapere il motivo per cui l’abate si era recato lì.

A quel punto notarono qualcosa che solo ai più scrupolosi sarebbe venuto in mente di fare: infatti Orodisio stava cercando di eliminare delle macchie di prodotto dalle “orecchie” delle pagine del libro.

I due colleghi decisero di intervenire, arrestarono il benedettino e attraverso un’altra autopsia scoprirono che il liquido presente era la medesima arma del delitto.

Ora tutto era chiaro: il frate minore era venuto a conoscenza del luogo in cui era situato il manoscritto e decise così di andare a dare un’occhiata.

Il suo superiore però aveva già capito il suo piano e decise così di andare ad avvelenare le “linguette” perché conosceva la cattiva abitudine del monaco di inumidirsi con la saliva il dito per svogliare le pagine, così fece e morì stecchito.

Il movente era plausibile: l’abate voleva la formula scritta dai vecchi frati nel 1200 solo per sé, in modo da arricchirsi facilmente.

Scoperto in pieno Orodisio decise di confessare confermando l’ipotesi dei due astuti poliziotti Guglielmo e Carlo, finendo così in prigione.

Di Giulia S.  II G