//Hanami: lo spettacolo dei ciliegi in fiore di Rossella Monni 2A (Linguistico-tedesco)

Hanami: lo spettacolo dei ciliegi in fiore di Rossella Monni 2A (Linguistico-tedesco)

di | 2023-03-28T11:33:58+02:00 28-3-2023 11:33|Alboscuole|0 Commenti
L’Hanami 花見 è uno spettacolo della natura che si verifica in Giappone ogni primavera, tra marzo e aprile, quando i ciliegi iniziano a fiorire, creando paesaggi spettacolari di fiori rosa e bianchi. In giapponese, hana 花 vuol dire “fiori” e mi 見 sta per “guardare”, “osservare”. La parola Hanami significa proprio “osservare i fiori”. Questo fenomeno è diventato per i giapponesi un’occasione per riunirsi e festeggiare in compagnia, in parchi e giardini pubblici, facendo picnic e godendosi questo spettacolo unico.  Il fiore più amato dai giapponesi è quello del ciliegio chiamato sakura 桜.  Ma perché i giapponesi amano questi fiori così tanto? Il fiore di ciliegio è il fiore nazionale giapponese. L’amore verso esso fa parte della cultura tradizionale nipponica e il legame tra il popolo del Giappone e questo fiore è molto antico. Nei libri storici più antichi del Giappone, il “kojiki” e il “nihonshoki”, la bella principessa Konohana Sakuya Hime 木花咲耶姫, «Principessa luminosa come l’albero fiorito», è descritta come simbolo delle cose che cadono fugacemente. Questo perché la principessa, dea più bella di tutta la mitologia giapponese, aveva vissuto la sua vita come un fiore di ciliegio. Fiorì gloriosamente e cadde fugacemente. Per questo motivo si pensa che il nome sakura abbia origine dal nome della principessa, Sakuya. Nel periodo Nara 奈良時代, che va dal 710 al 794, con l’afflusso della cultura continentale, i prugni profumati e colorati, preferiti in Cina, divennero popolari tra la nobiltà. Quindi, inizialmente, l’Hanami non si riferiva ai ciliegi, ma agli ume 梅, gli alberi di prugne. Successivamente, l’imperatore piantò dei ciliegi facendo apprezzare al popolo giapponese anche i suoi fiori. Per la gente comune, il fiore di ciliegio rappresentava il fiore della primavera. Pare che la sua fioritura venisse venerata dai contadini come divinità delle risaie e come presenza riconoscente che avrebbe vegliato sulle terre dalla semina al raccolto. Inoltre, il fiore di ciliegio era un fiore indispensabile per loro perché preannunciava il tempo dell’agricoltura. La prima menzione dell’Hanami nella letteratura risale all’831, quando l’imperatore Saga organizzò il primo Hanami nel giardino shinsen en 神泉苑. Da allora divenne un evento regolare di corte, come raffigurato nel” hana no en” del Racconto di Genji. Nel periodo Azuchi-Momoyama (1568-1600), il più grande Hanami organizzato dallo shogun, il comandande dell’esercito, 豊臣 秀吉 Toyotomi Hideyoshi attirò l’attenzione del popolo. Lo shogun invitò oltre cinquemila influenti signori della guerra a trascorrere cinque giorni sul monte Yoshino, dove erano stati trapiantati mille alberi di ciliegio da Osaka. In seguito l’Hanami diventò la principale forma di divertimento della gente comune, grazie all’ottavo shogun del Periodo Edo (1600-1868) Tokugawa Yoshimune 徳川吉宗. Egli creò dei luoghi di contemplazione dei fiori di ciliegio in varie zone di Edo, l’attuale Tokyo. Ai banchetti per l’Hanami che si tenevano in quei luoghi potevano partecipare tutti senza distinzione di classe sociale. La gente comune di Edo attendeva l’Hanami con grande trepidazione, sviluppando un profondo attaccamento ai fiori di ciliegio. I fiori di ciliegio hanno quindi un significato ineguagliabile per i giapponesi. Il motivo risiede nell’eredità dei ricordi che sono stati vicini alla vita e al cuore delle persone. Questo spettacolo bellissimo è destinato a finire presto, proprio quando ha raggiunto il suo apice, come la vita che è meravigliosa ma effimera, e come la bellezza, destinata a sfiorire. Per questo motivo, la contemplazione dell’Hanami è accompagnata da una vena di tristezza, dalla presa di coscienza che ogni cosa, anche la più bella, è destinata a finire. In giapponese questo concetto è perfettamente rappresentato dall’espressione mono no aware もののあわれ, traducibile come il “sentimento delle cose” o “il pathos delle cose”.