//LIBERO GRASSI

LIBERO GRASSI

di | 2021-03-27T16:41:53+01:00 27-3-2021 16:40|Alboscuole|0 Commenti

Cosa vuol dire essere liberi? Che cosa rappresenta la libertà per qualcuno? Per una donna essere libera vuol dire essere autonoma, vuol dire non dipendere da nessuno, mentre per un ex carcerato essere libero vuol dire non avere delle sbarre davanti alla finestra. In Sicilia, invece, per un imprenditore essere libero significa non essere succube della mafia, ad esempio rifiutandosi di pagare il pizzo. Il pagamento al clan del quartiere per assicurarsi la “protezione” infatti aveva lo stesso valore di un pagamento di un bollettino postale: qualcosa di assolutamente e sorprendentemente normale.

Era il 10 gennaio e Libero Grassi, capo dell’azienda di biancheria intima Sigma di Palermo, decise di rispondere pubblicamente alle intimidazioni ricevute dal clan mafioso dei Madonia. Nato a Catania nel 1924, aveva sempre preso sul serio il nome datogli in onore di Giacomo Matteotti, rapito e ucciso dai fascisti proprio nell’anno della sua nascita.  Così dopo esser stato oggetto di diverse telefonate, rapine e minacce decise di rivolgersi alla polizia e di denunciare i tentativi di estorsione scrivendo una lettera. In quella lettera l’imprenditore esprime la necessità di difendere la sua dignità consapevole che una volta pagata una tangente ne sarebbe arrivata un’altra. E un’altra ancora. Il rischio di far fallire l’attività sarebbe diventato sempre più concreto esattamente come era concreto il pericolo di esporre se stesso, la sua famiglia, i suoi dipendenti e il lavoro di una vita al pericolo di una banda criminale. Dopo la pubblicazione della lettera e la denuncia fatta alla polizia, a Libero Grassi venne offerta una scorta, che lui però rifiutò. In fondo agiva come un cittadino libero, e non voleva sentirsi per nessuna ragione in pericolo.

Il 4 aprile 1991, una sentenza del giudice istruttore di Catania Luigi Russo, giunge come l’ennesimo schiaffo a Libero Grassi e a chi, prendendolo ad esempio, aveva anche solo pensato di non abbassare la testa. In quella sentenza fu stabilito, infatti, che pagare la “protezione” ai boss non era reato. Così facendo, il giudice Russo aveva dato il suo benestare alla mafia e al suo controllo del territorio. Era il 29 agosto 1991, alle 7.25 di mattina dopo aver salutato sua moglie Pina, uscì di casa per andare al lavoro a piedi, come sempre. Quella mattina però ad attenderlo c’erano Salvino Madonia e Marco Favaloro del clan dei Madonia, arrestati qualche anno dopo. Il primo dei due seguì Libero nascondendo la pistola dietro un giornale, per poi ucciderlo con quattro colpi alle spalle. Libero non riuscì nemmeno a vedere in faccia il suo assassino, così come non riuscì a vedere quella di chi in silenzio lo aveva deriso, scoraggiato e abbandonato. Erano davvero bastati quattro colpi di pistola per mettere a tacere la voce di un cittadino libero con una gran forza di volontà e il suo desiderio di riscatto? Se ad oggi molte strade portano il suo nome, e molte associazioni si rifanno alle sue azioni, evidentemente no. Il simbolo dell’eredità lasciata da Libero è rappresentato forse più di tutto nel figlio Davide che, trasportando la bara del padre durante il suo funerale, alzò la mano in gesto di vittoria. Libero, poteva anche aver perso quella battaglia, ma quel gesto stava a significare che la guerra era appena iniziata e la sua causa, la sua lotta contro la malavita non erano state vane.

Luca Della Bella

Classe III H

Scuola Secondaria di I Grado “Umberto I” di Lanciano (CH)