//Guerra per il valore

Guerra per il valore

di | 2019-06-04T09:54:39+02:00 4-6-2019 9:54|Alboscuole|0 Commenti
Valerio D’Acunto – Eravamo a Capo Artemisio. I nostri soldati erano preoccupati alla vista di quelle centinaia di navi, imponenti come montagne, abitate da lupi famelici. Stavamo indietreggiando tantissimo e i nostri non capivano il perché. Gli Spartani si stavano adirando, dato il sacrificio alle Termopili dei loro fratelli. Gli Ateniesi contavano e avevano fiducia su di me e Temistocle, data la sua preveggenza nella costruzione di una flotta. Allora ricordai quando sei anni prima venne a lui il genio che costrinse gli Ateniesi a diventare marinai, grazie ai doni divini ricevuti in argento nella zona del Laurion. Infatti Temistocle vide lontano, lontanissimo, come se fosse ispirato dalla dea Atena. Tre anni fa l’aspro barbaro di Serse volle piegare la nostra identità come popolo, il nostro credo. Con la sua armata di migliaia, se non milioni di uomini, produsse un ponte infinito di navi. Creò un collegamento tra Oriente e Occidente sopra l’Ellesponto. I suoi ambasciatori medizzarono la Tracia e quei deboli pusillanimi dei Tebani, che per due volte ci avevano traditi. Erano tempi avversi, ed è in questi momenti che ci si riunisce per far forza, per portare avanti il fuoco della nostra sacra patria. Perciò un anno fa avevamo messo da parte i rancori storici, pensavamo al bene comune di tutti: fondammo la lega Ellenica. Edificammo difese all’Istmo di Corinto e alle Termopili, porta di accesso per la cultura superiore, per la nostra Grecia. Via mare ingegnavamo strategie per sconfiggerli con le nostre triremi, versatili ed insidiose. Mentre i Persiani stavano assaggiando la potenza ellenica alle porte della terra natia, noi studiavamo la loro flotta via mare. Tentavamo accerchiamenti senza successo. Durante la notte Temistocle ci ordinò di indietreggiare nell’Euripos, attirandoli sempre di più nell’arcipelago dell’isola di Salamina. Per guadagnare tempo feci accendere dei fuochi sulle coste dell’Eubea, per ingannare i nemici. D’altra parte i Persiani riuscirono ad aggirare le Termopili, il re Leonida congedò gli altri soldati rimanendo con i suoi fedeli. Disse che sarebbero morti tutti e trecento raggiungendo l’immortalità, in dovere di difesa delle leggi, dello stato e della loro identità. Erano trecento, armati di coraggio e di armi. Si poteva odorare il nero della morte! Erano pronti, con ardore, a concedere riposo eterno alla propria esistenza e invece perirono calpestati dalle brutali moltitudini di barbari che avanzavano verso l’Attica. Gli abitanti furono evacuati e Atene fu saccheggiata, i nostri opliti si posizionarono presso Platea, dunque i nostri soldati marittimi non si persero d’animo, e continuammo la ritirata presso le isolette. Una volta raggiunto il limite a sud dell’Euripos, eravamo tutti pronti, compreso Serse, desideroso di godersi lo spettacolo. Volevamo sangue, desideravamo vendetta, non avevamo più pietà: adesso veniva il bello. Come galline cascarono nella trappola, si sbaragliarono presso isolotti, si scontravano fra di loro, come bambini che facevano a gara per arrivare prima a morire, appiccavamo fuochi sui bordi delle loro navi, le speronavamo, le imbarcazioni persiane affondavano nel freddo mare. Serse, seduto sulle coste dell’Attica, vide la mia lucidità militare insieme a quella di Temistocle primeggiare su di lui. Il pomeriggio si tinse di rosso, la sua armata era ridotta a ferro e fiamme, l’acqua era torbida, molto torbida quel giorno di settembre. Gli isolotti furono letali, di sicuro non vorrei mai essere stato al suo posto a contemplare quella distesa di sangue. Proprio lui, il grande re, imparò una lezione: non si attacca impunemente la Grecia. A Platea vincemmo grazie a Pausania, che uccise Mardonio, condottiero avversario, cognato di Serse, e i Medi si ritirarono fino all’Ellesponto. Il successo sarebbe stato completo se non fosse stato per Leotichida, che preso da un’irrazionale veemenza li inseguì. Mardonte congedò buona parte dei soldati e tentò un’ultima strenua difesa. Non andò a buon fine per loro. Cacciammo tutti gli orientali dalla madre patria, la nostra democrazia aveva vinto, avevano vinto i sacri valori ellenici, aveva vinto la strategia sulla forza, ed io, Euribiade, mi godei la vittoria assieme al mio collega geniale Temistocle. In seguito onorammo i morti e demmo loro degna sepoltura. Da qui iniziarono tempi più tranquilli, ma i tempi tranquilli portano uomini deboli, uomini deboli portano tempi avversi. Valerio D’Acunto IVE                     Eravamo a Capo Artemisio. I nostri soldati erano preoccupati alla vista di quelle centinaia di navi, imponenti come montagne, abitate da lupi famelici. Stavamo indietreggiando tantissimo e i nostri non capivano il perché. Gli Spartani si stavano adirando, dato il sacrificio alle Termopili dei loro fratelli. Gli Ateniesi contavano e avevano fiducia su di me e Temistocle, data la sua preveggenza nella costruzione di una flotta. Allora ricordai quando sei anni prima venne a lui il genio che costrinse gli Ateniesi a diventare marinai, grazie ai doni divini ricevuti in argento nella zona del Laurion. Infatti Temistocle vide lontano, lontanissimo, come se fosse ispirato dalla dea Atena. Tre anni fa l’aspro barbaro di Serse volle piegare la nostra identità come popolo, il nostro credo. Con la sua armata di migliaia, se non milioni di uomini, produsse un ponte infinito di navi. Creò un collegamento tra Oriente e Occidente sopra l’Ellesponto. I suoi ambasciatori medizzarono la Tracia e quei deboli pusillanimi dei Tebani, che per due volte ci avevano traditi. Erano tempi avversi, ed è in questi momenti che ci si riunisce per far forza, per portare avanti il fuoco della nostra sacra patria. Perciò un anno fa avevamo messo da parte i rancori storici, pensavamo al bene comune di tutti: fondammo la lega Ellenica. Edificammo difese all’Istmo di Corinto e alle Termopili, porta di accesso per la cultura superiore, per la nostra Grecia. Via mare ingegnavamo strategie per sconfiggerli con le nostre triremi, versatili ed insidiose. Mentre i Persiani stavano assaggiando la potenza ellenica alle porte della terra natia, noi studiavamo la loro flotta via mare. Tentavamo accerchiamenti senza successo. Durante la notte Temistocle ci ordinò di indietreggiare nell’Euripos, attirandoli sempre di più nell’arcipelago dell’isola di Salamina. Per guadagnare tempo feci accendere dei fuochi sulle coste dell’Eubea, per ingannare i nemici. D’altra parte i Persiani riuscirono ad aggirare le Termopili, il re Leonida congedò gli altri soldati rimanendo con i suoi fedeli. Disse che sarebbero morti tutti e trecento raggiungendo l’immortalità, in dovere di difesa delle leggi, dello stato e della loro identità. Erano trecento, armati di coraggio e di armi. Si poteva odorare il nero della morte! Erano pronti, con ardore, a concedere riposo eterno alla propria esistenza e invece perirono calpestati dalle brutali moltitudini di barbari che avanzavano verso l’Attica. Gli abitanti furono evacuati e Atene fu saccheggiata, i nostri opliti si posizionarono presso Platea, dunque i nostri soldati marittimi non si persero d’animo, e continuammo la ritirata presso le isolette. Una volta raggiunto il limite a sud dell’Euripos, eravamo tutti pronti, compreso Serse, desideroso di godersi lo spettacolo. Volevamo sangue, desideravamo vendetta, non avevamo più pietà: adesso veniva il bello. Come galline cascarono nella trappola, si sbaragliarono presso isolotti, si scontravano fra di loro, come bambini che facevano a gara per arrivare prima a morire, appiccavamo fuochi sui bordi delle loro navi, le speronavamo, le imbarcazioni persiane affondavano nel freddo mare. Serse, seduto sulle coste dell’Attica, vide la mia lucidità militare insieme a quella di Temistocle primeggiare su di lui. Il pomeriggio si tinse di rosso, la sua armata era ridotta a ferro e fiamme, l’acqua era torbida, molto torbida quel giorno di settembre. Gli isolotti furono letali, di sicuro non vorrei mai essere stato al suo posto a contemplare quella distesa di sangue. Proprio lui, il grande re, imparò una lezione: non si attacca impunemente la Grecia. A Platea vincemmo grazie a Pausania, che uccise Mardonio, condottiero avversario, cognato di Serse, e i Medi si ritirarono fino all’Ellesponto. Il successo sarebbe stato completo se non fosse stato per Leotichida, che preso da un’irrazionale veemenza li inseguì. Mardonte congedò buona parte dei soldati e tentò un’ultima strenua difesa. Non andò a buon fine per loro. Cacciammo tutti gli orientali dalla madre patria, la nostra democrazia aveva vinto, avevano vinto i sacri valori ellenici, aveva vinto la strategia sulla forza, ed io, Euribiade, mi godei la vittoria assieme al mio collega geniale Temistocle. In seguito onorammo i morti e demmo loro degna sepoltura. Da qui iniziarono tempi più tranquilli, ma i tempi tranquilli portano uomini deboli, uomini deboli portano tempi avversi. Valerio D’Acunto IVE