//ALDA MERINI: LA MUSA DEI NAVIGLI

ALDA MERINI: LA MUSA DEI NAVIGLI

di | 2019-06-05T09:12:36+02:00 4-6-2019 9:48|Alboscuole|0 Commenti
B.D. – “Sono nata il 21 marzo a primavera”… Inizia così una delle tante citazioni della poetessa che si trovano nel web, sui social o nei gruppi a lei dedicati, di sui anche io faccio parte. Perché sì, lo ammetto, adoro Alda Merini. La mia è stata una “scoperta” recente: la conoscevo, certo, avevo letto le sue poesie, avevo visto i suoi testi sulle varie antologie scolastiche, ma ho iniziato ad “amarla” quando ho ascoltato alcune sue interviste su YouTube e la curiosità mi ha spinta a cercare notizie su di lei, a leggere avidamente le sue poesie, a comprare i suoi libri ed è stato subito amore. Cosa mi ha colpito di lei? Potrei dire la sua “triste” vicenda umana, perché indubbiamente la sua vita tormentata non può non destare la nostra attenzione: leggere il racconto del suo ricovero nella clinica psichiatrica tra elettroshock e autentiche torture non lascia certo indifferenti. Ma non è stato solo questo. Le sue parole, i suoi versi, i suoi aforismi ti colpiscono come lame taglienti o ti sfiorano come dolci carezze e non puoi fare a  meno di leggerla, ancora e ancora. E non puoi fare a meno di amarla. Ma chi era Alda Merini? Alda Merini non ha ancora 16 anni quando scrive le sue prime poesie che vengono pubblicate in varie antologie nei primi anni Cinquanta; il suo primo libro di versi è “La presenza di Orfeo”, accolto con grande favore dalla critica e seguito da altri volumi nel decennio successivo. Sempre intorno ai 16 anni cominciano a manifestarsi i primi segni della malattia mentale. Nel 1965, dopo 13 anni di matrimonio e la nascita di due figlie, inizia il doloroso internamento in un manicomio milanese. Cosi scrive la poetessa in “L’altra verità. Diario di una diversa”:  “Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio ero poco più di una bambina … Ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò, e morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio tanto che un giorno … diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio”. In manicomio rimane fino al 1972 e durante i rari periodi di dimissione nascono altre due figlie che vengono date in affidamento. Il silenzio poetico si interrompe nel 1979 con la scrittura di alcuni dei suoi componimenti più intensi. Rimasta vedova nel 1983, sposa due anni dopo il poeta tarantino Michele Pierri, nella cui città si trasferisce: sono questi anni difficili, in cui la scrittrice conosce gli orrori dell’ospedale psichiatrico di Taranto. Rientrata a Milano nel 1988, riprende a pubblicare tante e tante raccolte di poesie, in cui esprime la sua interiorità, la sua delicatezza ma soprattutto la sua forza. Negli ultimi anni si dedica anche alla prosa ed escono numerose raccolte. Riceve molti premi: nel 1993 il premio “Eugenio Montale per la poesia”, nel 1996 il Premio Viareggio, nel 1997 il Premio Procida – Elsa Morante, nel 1999 il Premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Settore Poesia.  Nel febbraio del 2004 è ricoverata per problemi di salute e da tutta Italia vengono inviate e-mail a sostegno di un appello lanciato da un amico della scrittrice che richiede aiuto economico; sorgono numerosi blog telematici e siti internet nei quali viene richiesto l’intervento del sindaco di Milano. Nel 2004 alcune sue poesie vengono cantate da Milva e musicate da Giovanni Nuti e nello stesso anno nascono molte iniziative per far conoscere in maniera più diffusa la sua poesia. Muore a Milano il 1º novembre 2009, all’età di 78 anni, a causa di un tumore osseo; i funerali di stato vengono celebrati nel Duomo di Milano. Nel marzo 2010 il Comune di Milano appone una targa sul muro dell’abitazione della poetessa sui Navigli. “Vivo ancora nella casa da dove sono partita per il manicomio. Ancora non riesco a lasciarla. Dopo anni di solitudine, ogni sera, metto una barricata contro la porta perché ho paura che vengano a prendermi e che mi portino via” (da “L’altra verità. Diario di una diversa”).