//PER ASPERA AD ASTRA: INTERVISTA AL DOTT. ANGELO LATELA

PER ASPERA AD ASTRA: INTERVISTA AL DOTT. ANGELO LATELA

di | 2020-02-04T09:54:04+01:00 4-2-2020 9:54|Alboscuole|0 Commenti
 

Il dottor Angelo Latela risiede attualmente nella città di Conversano ed è uno dei tanti ex alunni del Liceo classico “Domenico Morea”, dove si è diplomato nel 1969, ad aver scelto di coltivare la nobile arte di Ippocrate e Galeno. Successivamente ha ottenuto una laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. A seguito dei suoi studi universitari, si è specializzato in Ortopedia e attualmente è Direttore Responsabile del reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Civile “San Giacomo” di Monopoli. Noi abbiamo deciso di incontrarlo e intervistarlo per conoscere meglio un frammento della sua vita, in particolare quello risalente ai tempi del liceo. Abbiamo avviato l’intervista, domandandogli se avesse deciso di frequentare il nostro Liceo classico con l’intenzione di laurearsi in medicina oppure se inizialmente avesse ancora le idee poco chiare.

“Ai miei tempi, il Classico era l’unica scuola che garantisse le basi per qualsiasi facoltà universitaria. Quindi, inizialmente, non avevo intenzione di conseguire una laurea in medicina, ma quest’idea maturò nel corso della mia esperienza liceale. Scelsi questa scuola anche perché è una scuola difficile e a me è sempre piaciuto il rischio; amo mettermi in gioco”.

Quando gli abbiamo chiesto quale fosse stata la sua prima impressione del Morea e le sue prime emozioni, lui ci ha riferito che inizialmente, entrando nell’istituto, aveva provato un po’ di timore, ma allo stesso tempo un senso di protezione, poi, poco a poco, tutto divenne familiare e accogliente. I professori, soprattutto dal terzo anno in poi, avevano un’apertura mentale sorprendente: l’insegnamento delle varie materie non era fine a sé stesso ed i docenti si rapportavano all’attualità partendo dall’antichità. Abbiamo proseguito chiedendogli se, durante il suo percorso al Classico, avesse mai avuto voglia di mollare tutto, scoraggiato da risultati negativi, stanchezza, incomprensioni con i professori o con i compagni di classe e come avesse riacquistato la voglia e il coraggio di rialzarsi.

“Sì, ovviamente ci sono stati dei momenti in cui lo sconforto ha preso il sopravvento. A casa la mentalità non era “aperta”, come quella odierna: non c’era la possibilità di discutere con i propri genitori delle varie difficoltà. Per fortuna, io e il mio gruppo classe eravamo molto uniti, quindi spesso ci confrontavamo ed aiutavamo a vicenda, in caso di bisogno. Ricordo che, durante il terzo anno, incontrai molte difficoltà con i congiuntivi… Un giorno, la professoressa assegnò un tema per casa e poi mi costrinse a leggere il mio elaborato in classe. Io ero un ragazzo molto tranquillo ma, quel giorno, durante la lettura, la professoressa iniziò a ridere. Io, sorprendendo l’intera classe, rimproverai la professoressa, dicendo che lei avrebbe dovuto insegnarmi ciò di cui non ero a conoscenza, non ridere di ciò che non sapevo. Mi assegnò vari temi, di giorno in giorno, e, con il tempo, sono migliorato. 

Ride, ricordando con nostalgia ed indulgenza quei momenti difficili.

Come ho trovato il coraggio di rialzarmi? Ho accettato di mettermi in discussione e sono riuscito a superare tutte le difficoltà”.

Gli abbiamo chiesto di raccontarci un aneddoto o un’esperienza particolare, risalente ai suoi anni del Liceo e lui ha rammentato quella volta in cui la sua professoressa di scienze, una donna austera, ma molto disponibile, durante una lezione, raccontò ai suoi alunni una barzelletta:

“Un giorno, nello stagno, un rospo dice ad una rana di andare a fare un girino”.

La prof scoppiò in una risata a crepapelle, ma loro rimasero talmente scioccati da questa scena, che, ovviamente, essa rimase impressa nella mente di tutti. Ha proseguito raccontandoci la sua spiacevole esperienza con l’italiano. Al quinto anno ebbero più professoresse: la prima era incinta e proveniva dall’attuale San Benedetto, quindi era consapevole di non poter offrire loro un’ottima preparazione. Verso gennaio, gli alunni minacciarono sciopero, ma successivamente arrivò una nuova professoressa, molto giovane che si mostrò fin da subito molto brava, disponibile e onesta da ogni punto di vista. Con lei si venne a creare una sorta di fiducia reciproca, una complicità, ed ecco che la paura scomparve totalmente, facendo posto ad una genuina visione dell’ambiente scolastico. In seguito abbiamo chiesto cosa rimpiangesse degli anni trascorsi assieme ai suoi compagni e ai suoi professori nella scuola e cosa, invece, gli abbia lasciato il Morea dal punto di vista umano.

“I rimpianti non son cose belle, ma i ricordi sì! A volte, vorrei tornare nel passato per ricominciare, non commettere i medesimi errori ed impegnarmi di più. Con alcuni professori abbiamo avuto uno scambio proficuo di riflessioni intorno a problematiche personali e familiari. Molti di loro, infatti, erano disponibili ad ascoltarci anche durante l’orario extrascolastico. Si era instaurato un rapporto basato sull’ascolto e sulla fiducia reciproca. A volte, con nostalgia penso che mi piacerebbe tornare tra i banchi di scuola, ma, ripeto, con un atteggiamento di sfida più verso me stesso che verso gli altri. Questo, in parte, può essere dovuto al mio carattere, ma sicuramente è stato rilevante il mio percorso scolastico, in quanto i docenti ci supportavano e stimolavano, affinché dessimo sempre il meglio di noi stessi”. Successivamente, gli abbiamo domandato se, ritornando nel passato, sceglierebbe nuovamente di frequentare il liceo classico oppure preferirebbe intraprendere un percorso scolastico altrove e lui ha risposto che, come metodologia, lo sceglierebbe ancora, ma forse adesso preferirebbe affrontare e concentrarsi su argomenti di maggiore attualità. In seguito, gli abbiamo chiesto delle riflessioni, sulla base della sua esperienza, sia di ex alunno sia di dottore, in merito al fatto che, oggi, molti ragazzi pensino che il liceo classico non sia una scuola “utile”, poiché, al termine dei cinque anni, non si è in grado di cimentarsi col mondo lavorativo, ma occorre necessariamente frequentare l’università.

“I licei offrono uno sbocco all’università a differenza di altre scuole, sono stati pensati proprio come propedeutici all’università. La scuola, qualsiasi essa sia, deve dare un’infarinatura generale. Sta allo studente scegliere in quale settore specializzarsi poi e quale strada intraprendere. Io lascerei libero chiunque di seguire le proprie propensioni”.

Nel momento in cui abbiamo domandato al dottore se, a suo dire, la formazione umanistica lo renda maggiormente empatico e comprensivo nei confronti dei suoi pazienti, lui ha affermato che la disponibilità verso i pazienti è legata soprattutto alla propria personalità ed al proprio carattere, tuttavia egli crede che la sua formazione lo porti ad approfondire i problemi del paziente, ad osservare la realtà a 360 gradi e, soprattutto, ad ascoltare con particolare attenzione. Non saprebbe dire con certezza se ciò sia dovuto al suo aspetto caratteriale, ma crede che ciò che ognuno diventi sia dovuto, almeno in parte, a ciò che si è appreso a scuola. In seguito, abbiamo domandato se egli sia in grado di descrivere il suo lavoro con tre parole.

“Ebbene, direi utile, difficile e gratificante”.

E, per finire, abbiamo domandato quale consiglio darebbe all’Angelo di venti anni fa e come, invece, si veda tra dieci anni. Il dottore ha risposto, affermando che attualmente è Direttore Responsabile del reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Civile “San Giacomo” di Monopoli, ma, se dovesse tornare nel passato, cercherebbe di “dominare” ed organizzare prima i vari reparti. Successivamente ha spiegato come diventare primario sia una scelta ardua, perché bisogna “rinunciare” alla propria famiglia per osservare delle realtà diverse in giro per il mondo, ma, nonostante abbia impiegato del tempo per raggiungere il suo obiettivo, non ha alcun rimorso sul piano professionale. Durante la sua carriera lavorativa, egli ha sempre cercato di insegnare qualcosa ai suoi colleghi, perché crede che, per diventare degli ottimi medici, sia necessario rubare i “trucchi” del mestiere e trasmetterli al prossimo con umiltà e semplicità. Tra dieci anni, spera di poter apprendere nozioni, a lui oggi sconosciute, e continuare ad accogliere i suoi pazienti con disponibilità. Ha, infine, concluso la sua intervista, con la famosa citazione “Ad astra per aspera”, sottolineando come i sacrifici spronino a raggiungere l’eccellenza ed i propri obiettivi. Ci teniamo a ringraziare ancora una volta il dott. Angelo Latela per la sua precisione e per la sua disponibilità.

Arianna Palattella, Francesca Maiellaro, Mirea Mercieri, IIA LC