//Verga e la Sicilia

Verga e la Sicilia

di | 2021-11-09T20:42:22+01:00 9-11-2021 20:17|Alboscuole|0 Commenti
di Giulio Armando Palmieri – 5^C –
Le aspre vedute siciliane ed i rustici paesaggi fanno da cornice ad una realtà culturale, impropriamente trapiantata in un contesto temporale con il quale non condivide assolutamente nulla.
La Sicilia si presenta, infatti, come un mondo anacronistico, totalmente estraneo a quell’intreccio di innovazioni ed ineluttabili cambiamenti che sarebbe passato alla storia col nome di “seconda rivoluzione industriale”. Il disagio di cui fanno esperienza gli isolani nell’affrontare il divario socio-culturale con il centro e nord Italia è fedelmente espresso da Giovanni Verga, osservatore scrupoloso del vero e redattore del “gran libro del cuore”. Il letterato, nella prefazione a “L’amante di Gramigna”, ha modo di presentare all’amico Salvatore Farina quelle che sono le linee guida, formali e stilistiche, per l’elaborazione del “documento umano”, definizione naturalista della testimonianza letteraria della realtà.
La prima questione da esaminare è quella linguistica: il ruolo guida della narrazione popolare è caratterizzato dall’uso di terminologie volgari, del dialetto lessicale, talvolta elaborato in un italiano maccheronico che, pur non stroncando i legami con la sintassi originaria, permette la comprensione del testo da parte dei diversi fruitori.
Caratteristica della poetica naturalista e verista è la scelta di riportare gli avvenimenti drammatici in modo apparentemente freddo e disinteressato, sancendo un evidente distacco con “il modo di raccontare” romantico, per il quale era fondamentale l’enfasi della tragedia. L’approccio di Verga e colleghi veristi non è, però, un tentativo di sminuire tali eventi: essi semplicemente perdono di intensità nella confusione delle voci popolari. Sta poi al lettore ricavare la tesi dell’accaduto.
Come già accennato, l’unica guida a cui si può far riferimento al momento della lettura è il popolo, che con la sua moltitudine di volti non fornisce un modello composto di eticità, né tantomeno permette al fruitore dell’opera verista di distinguere all’impronta ciò che è giusto da ciò che non lo è, essendo questi soggetto ad una sensazione di smarrimento o, per meglio dire, di straniamento.
Ci si trova, dunque, coinvolti in una tempesta di sentimenti, pregiudizi e passioni, quelle realtà metafisiche, il cui esame è posto come fine ultimo della ricerca poetica di Verga, percorso lungo, introspettivo e di sicuro non perfetto: è compito dell’autore, infatti, tendere il più possibile alla perfezione contenutistica, autentica solo nella rappresentazione fotografica di una verità da sempre inquinata dalla intromissione illegittima del narratore giudicante.
Una volta eliminate le impurità della soggettività di quest’ultimo, sarà possibile leggere un romanzo fatto da sé, veritiero, che, come un frutto, nasce e cresce nell’humus culturale al quale sarà sempre legato, nel bene e nel male.
Proprio da questa metafora è possibile ricavare la tesi alla base del fatalismo pessimistico di Verga, ampiamente esplicato nelle righe dei due romanzi del ciclo de  “I vinti”: “I Malavoglia” e “Mastro don Gesualdo”. Mentre in Francia Emile Zola riportava con rigore giornalistico le vicende dei dannati Rougon-Maquart, tra i quali il gene della follia imperversava inarrestabile, nelle vicende siciliane la causa del disastro, verso cui i due capostipiti Padron N’Toni e Gesualdo avanzavano ignari, non è da ricercarsi in un fattore psicologico quanto in un  impedimento al di sopra della loro volontà; l’impossibilità di poter progredire nella società o, più semplicemente, di aspirare ad un futuro migliore, per sé stessi e la propria famiglia, è ovvia conseguenza dell’inevitabile immobilismo sociale, condizione che vanifica ogni sforzo umano.
Nella prospettiva di un’emancipazione, soltanto e tristemente utopica, Verga paragona l’uomo ad un’ostrica, mollusco che, se separato dallo scoglio sul quale è nato, cresciuto e dal quale dipende, va incontro ad una morte certa, corporale o psicologica che sia.