//PER USCIRE FUORI DAL NOSTRO INFERNO, CI VUOLE UN VIRGILIO Analisi alchemica del XXXIV canto della Commedia

PER USCIRE FUORI DAL NOSTRO INFERNO, CI VUOLE UN VIRGILIO Analisi alchemica del XXXIV canto della Commedia

di | 2021-03-25T17:09:54+01:00 25-3-2021 16:47|Alboscuole|0 Commenti
Di Colomba Letizia Pinto- 3^D

“Cos’è la vita, se non imparare a vivere la vita?” (Achille Lauro, 2021🌹)

 
“Vexilla regis prodeunt inferni/verso di noi, però dinanzi mira”, disse ‘l maestro mio “se tu ‘l discerni”. Con questi versi, aprendo il canto XXXIV, Virgilio presenta a Dante il Re dell’inferno: Lucifero. Siamo giunti alla fine del percorso infernale: nella Giudecca (la quarta ed ultima zona del nono cerchio) c’è lui, l’angelo più splendente, trasformato in mostro, incastrato al centro della Terra. È la legge del contrappasso: Lucifero è bloccato nel ghiaccio che lui stesso crea; ogni volta che l’uomo vuol essere superiore a Dio, perde totalmente il contatto con la sua anima e con il Creato e diventa un contenitore vuoto, freddo, paralizzato dalla superbia e dal tradimento. Le ali di Serafino si sono trasformate in ali di pipistrello, con le quali suscita un vento che ghiaccia le acque del Cocito, in cui sono congelati i traditori dei benefattori. Dante lo descrive minuziosamente: è gigantesco ed ha ha tre facce, ciascuna di colore diverso: nera, rossa e gialla. In ciascuna bocca mastica un peccatore: in quella centrale, Giuda, traditore del Divino, nelle altre due Bruto e Cassio, traditori dell’Impero; persone di notevole valore, spinti da grandi ideali politici e sociali, che tuttavia tradirono Gesù e Cesare. Le persone che corrono maggiormente il rischio di cadere vittime dell’ombra —cioè di manifestare aspetti terrificanti— sono quelle che hanno i compiti più elevati, che hanno progetti grandiosi, riguardanti non solo la propria evoluzione, ma anche quella di tante altre persone. Il male viene alimentato ogni volta che un essere umano compie consapevolmente un tradimento dei valori dell’amore, sia individuali che collettivi. Dante, alla vista del mostro, cerca di nascondersi dietro a Virgilio, che, però, lo pone al cospetto del male; il suo discepolo deve superare un ultimo passaggio di morte e rinascita, per poter veramente rinascere ad uno stato di coscienza superiore. Il Poeta ci ha finora raccontato di come ogni dannato abbia dovuto imparare la lezione: utilizzare la potenza contenuta nei peccati infernali per manifestarla come virtù in Paradiso: e siamo nel momento in cui vita e morte coesistono; è la morte fisica e la vita spirituale: Io non morì e non rimasi vivo: pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno qual io divenni, d’uno e d’altro privo. (Ora pensa da te stesso, se appena hai un po’ d’ingegno, come rimasi io, privo dell’una e dell’altra cosa [della vita e della morte].)
Anche noi dobbiamo riconoscere questo demone dentro di noi, per poi allontanarci da lui, come fa Dante: Virgilio, infatti, lo sprona ad utilizzarlo, per affrontare questa morte-rinascita. Dante, dunque, si aggrappa a lui, per compiere il superamento di Lucifero; i due, uniti e guidati dall’amore per la conoscenza e dalla fede, a fatica ne verranno fuori, fino a trovare sopra quello che stava sotto e viceversa. C’è, quindi, un cambio di prospettiva: usciamo dallo stato infernale e raggiungiamo il Purgatorio; con l’uomo-Dante lavoreremo su noi stessi per trasformare alchemicamente il nostro piombo in oro, per dare il meglio di noi, per liberarci dalle brame e dalla personalità (cioè per uscire dall’Ego ed incontrare l’Io). Questo rappresenta, secondo la scienza alchemica —ben conosciuta al tempo di Dante— l’uscita dalla nigredo e l’entrata nell’albedo; è l’Uomo che non fugge più davanti ai suoi limiti ma se ne assume la responsabilità. Che significa, questo? Significa essere consapevoli di ciò che avviene nella nostra vita: ogni incontro, ogni situazione, non sono che un riflesso della nostra vita interiore; non esiste un motivo valido per lamentarsi, perché la situazione in cui ci troviamo è esattamente quello di cui abbiamo bisogno per evolvere. Ciò che Dante e Virgilio hanno compiuto viene chiamato metanoia: andare oltre la mente, mettersi completamente al servizio del progetto divino. Virgilio ha fatto molta fatica in questo passaggio, e ha evitato al suo discepolo di camminare con le proprie gambe… Perché? Perché solo il ben dell’intelletto, solo la mente che funziona in maniera saggia, solo la mente razionale unita al cuore, può vincere Lucifero, e probabilmente il Nostro deve ancora affidarsi a chi ne sa più di lui. È, però, sulla strada giusta per rendersi conto di non poter superare Lucifero con un atto debole o con la sola mente fredda o —peggio ancora— solo con i sentimenti; rimarrebbe inevitabilmente bloccato nello stato infernale. Per uscire vivi dal nostro inferno, ci occorre un intelletto lucido, capace, onesto, unito all’amore divino, non ai sentimenti, ma all’amore che ditta dentro, alla passione per la ricerca interiore, per la vita. Tutta l’opera di Dante si basa sulla legge del contrappasso: ciascuno si ritrova sempre di fronte a un limite che non ha ancora superato; e rimarrà lì, in quella condizione, fino a quando non si sarà assunto la totale responsabilità della propria debolezza. Cambieranno le situazioni, le modalità e i tempi, ma il limite si riproporrà sempre; aggirare un problema o far finta che non esista, non farà altro che acutizzare “la pena” da affrontare. Cosa ci insegna il percorso di Dante all’interno del proprio Io? Ci insegna che le nostre azioni devono seguire una retta via, non influenzata da pulsioni dettate dall’Ego, dalla mente gelida; e dobbiamo riconoscerci, come ha fatto Dante, anche in quegli aspetti del nostro lato oscuro che non vorremmo mai ci appartenessero e che ci si manifestano negli aspetti che non accettiamo degli altri e del mondo che ci circonda, che ci appaiono come dannati o come inferno solo se quei personaggi e quel luogo di dannazione sono dentro di noi. Abbiamo fatto, con Dante, un viaggio all’interno del nostro Inferno e siamo stati faccia a faccia col Male; anche noi, così come Dante prova un’intensa pietà per i dannati e trova —talvolta— ingiusta la pena alla quale sono sottoposti, siamo spesso entrati in empatia con la nostra vittima interiore e ci siamo identificati totalmente con lei, alimentando nuovamente comportamenti e atteggiamenti che rinvigoriscono la nostra sofferenza. Ma abbiamo imparato che non ci sono alternative: o riconosciamo il nostro limite o questo ci si ripresenterà, prepotentemente; se, invece, siamo consapevoli che ciò che sta accadendo non è “a noi”, bensì “per noi” sentiremo che l’Universo si trova al nostro interno e ci riflette; in questo modo, rinasciamo ad una nuova vita. Insieme a Dante e Virgilio, con cuore impavido, pieno d’amore, usciremo a riveder le stelle.