//Monte d’Accoddi il tempio-altare della Sardegna di Antea Piras 2B (Linguistico-spagnolo)

Monte d’Accoddi il tempio-altare della Sardegna di Antea Piras 2B (Linguistico-spagnolo)

di | 2023-01-22T19:02:10+01:00 22-1-2023 19:01|Alboscuole|0 Commenti
Imparare  scoprendo luoghi poco noti e parti del mondo sconosciute attraverso i viaggi d’istruzione è sempre stato un modo di insegnare amato dagli alunni e anche dai professori. Non solo per il viaggio che si anima attraverso le tipiche canzoni neomelodiche, ma anche perché aiuta a capire meglio concetti e soprattutto per sentire ciò che si impara a scuola attraverso l’ausilio di un professionista. Questo è quello che è successo il 1 di ottobre quando alcune classi della scuola del Leonardo da Vinci di Lanusei sono andate a visitare alcuni tra i più impostanti siti archeologici del sassarese. Solitamente in Sardegna ci si imbatte in nuraghi, tombe dei giganti e domus de janas, invece in un preciso punto tra Sassari e Porto Torres si può rimanere incantati davanti a un monumento che non ha eguali in tutto il bacino del Mediterraneo. Per ammirare un qualcosa di simile bisogna andare fino in Mesopotamia, dove sorgono le più famose ziqqurat. A pochi chilometri da Sassari, invece, nel nord-ovest dell’Isola, si erge maestosa la massima espressione sacra della civiltà prenuragica, Monte d’Accoddi. Monte d’Accoddi, dall’arcaico kodi, “pietra”, è un tempio conosciuto grazie a una leggenda che narra che la piramide fu voluta da un re mesopotamico di nome Uruk, principe-sacerdote delle sue terre, che fuggito da esse si stabilì in terra sarda con tutta la sua tribù. Decise di erigere come protezione un tempio, una ziqqurat che invece di dedicare al sole dedicò alla luna. Il tempio di Monte d’Accoddi è uno ziqqurat unico in Europa per singolarità di tipologie architettoniche. Fu scoperto a metà del XX secolo, scavando al centro di una pianura un piccolo colle che pareva “artificiale”. In realtà, era un altare a piramide ricoperto di terra, dedicato forse a una divinità femminile, scolpita in una stele granitica accanto al monumento. Il santuario prenuragico sorge al centro della Nurra, lungo la “vecchia” statale 131, verso Porto Torres, nel territorio di Sassari, a undici chilometri dal capoluogo del nord dell’Isola. Il monumento aveva un ruolo centrale nella società di allora e fu culmine dell’evoluzione di un complesso sviluppatosi dalla seconda metà del IV millennio a.C. L’altare preistorico di Monte d’Accoddi è un singolare capolavoro del passato in parte ancora avvolto dal mistero. A colpire è anche la sua età, basti pensare che fu costruito circa cinquemila anni fa, molto prima dell’avvento della civiltà nuragica. Per secoli imprigionato nella terra di una collina, il prestigioso sito fu scoperto e poi scavato verso la metà del Novecento. L’altare è la sovrapposizione di due fasi, quella del “tempio rosso”, nel Neolitico finale (3500-2900 a.C.), e la successiva del “tempio a gradoni”, nell’Eneolitico (2700 a.C. circa), durante la ‘cultura di “Abealzu-Filigosa”. Nella prima fase vari villaggi di capanne quadrangolari facevano capo a un centro cerimoniale del quale si nota una necropoli a domus de Janas e, nelle loro posizioni originali, ai lati del santuario, un menhir a forma allungata alto quattro metri e mezzo, un’enorme lastra con sette fori, forse per legare le vittime, e massi di pietra sferoidali, uno di cinque metri di circonferenza, nel quale ai lati vi erano dei fori per legare le corde che servivano per immobilizzare gli animali da offrire in sacrificio. Alla fine del Neolitico finale le genti della “cultura di Ozieri” edificarono una piattaforma a forma di tronco piramidale, con lati alla base di 27 metri, sopra cui si ergeva un vano rettangolare con superfici intonacate e dipinte di color ocra e tracce di giallo e nero. Dell’ambiente sacro rimangono pavimento e resti di un muro perimetrale. Intorno al 2800 a.C., la struttura del “tempio rosso”, abbandonata da due secoli, fu ricoperta da un colossale riempimento di terra, pietre e marna calcarea, a sua volta rivestito da grandi blocchi di pietra. Sorse una nuova grande piattaforma piramidale “a gradoni”, con lati più lunghi della precedente e accessibile da una rampa, lunga quaranta metri e larga da tredici a sette. Il secondo santuario ricorda le ziqqurat con altare “a cielo aperto”. La struttura occupa 1600 metri quadri ed è alta quasi sei metri, in origine forse otto. All’interno, una camera inesplorata forse, come in Mesopotamia, conteneva il letto sacro dove si compiva il rituale di rigenerazione della vita e fertilità della terra. Intorno i resti di un villaggio dove sono state rinvenute ceramiche quasi intatte.   Girando attorno al monumento è possibile notare alcuni elementi significativi e ancora in buono stato di conservazione. Alla destra della gradinata si trova una grande pietra piatta. Avvicinandosi è possibile notare lungo i suoi bordi la presenza di fori passanti. Erano delle asole di ancoraggio per le funi. Questo lastrone aveva infatti una funzione sacrificale. Le bestie da sacrificare venivano legate saldamente prima di essere dissanguate. La roccia, inoltre, è posizionata sopra una cavità naturale del terreno, luogo utilizzato come colatoio per i liquidi. Alla sinistra della scalinata si trova invece un menhir alto 4,40 metri e dal profilo squadrato. Molto particolari sono anche le rocce sferiche che si pensa rappresentassero il sole e la luna. Continuando ad aggirare l’altare, nella parte a nord, si trovano due steli. Una reca l’incisione di una sagoma femminile che rappresenta la Dea Madre. Questo tipo di simbologia era comune anche in altri siti coevi, seppur con qualche differenza. Completando il giro si possono osservare le rovine di quella che era una capanna. È stata battezzata la capanna dello sciamano per via dei reperti in essa ritrovati: vasellame e oggetti probabilmente utilizzati per mescere bevande rituali. Tra la capanna dello sciamano e il lastrone rituale sono stati ritrovati molti resti di ossa animali, evidente segnale di sacrifici o di banchetti sacrificali.