//INCONTRO CON EDITH BRUCK

INCONTRO CON EDITH BRUCK

di | 2022-03-31T13:52:26+02:00 31-3-2022 13:51|Alboscuole|0 Commenti
a cura di Gioia Lancetti – classe III/E – scuola Secondaria di I grado – 1 marzo 2022 Un teatro Lyrick al completo Mille studenti di tante scuole, di vario ordine e grado, sono accorsi con desiderio vivo di ascoltare la voce di una delle più appassionate testimoni della Shoah, la scrittrice Edith Bruck, una donna ebrea ungherese, semplice e determinata, che ha parlato a tutti, con coraggio e audacia (affiancata ed intervistata da Simona Sala, direttrice del tgr Umbria e da Marina Rosati, responsabile del Museo della Memoria di Assisi) del suo pesante trascorso al tempo della seconda guerra mondiale, durante la tristemente famosa persecuzione ebraica, perpetrata dalla Germania nazista di Adolf Hitler. Il lungo racconto ha inizio da un avvenimento accaduto durante la Pasqua ebraica (Pesah) del 1944. In casa Bruck, situata in un villaggio poverissimo dell’Ungheria, abitato da una dozzina di famiglie ebree, circolava aria di festa, impregnata di profumo di pane azzimo, nel bel mezzo della lenta lievitazione: la mamma aveva potuto impastare grazie al dono di un po’ di farina della vicina di casa! D’improvviso, un ragazzo del villaggio, poco più grande di Edith, collaborazionista degli occupanti tedeschi, irrompe nella cucina, sferra un pugno al capofamiglia e costringe tutti, a suon di frustate, ad abbandonare la casa, senza neanche consentire loro di prendere un pezzo di quel pane, ormai un pane “andato perduto” (da qui il titolo dell’ultimo suo libro). Dal centro di smistamento, vengono caricati a forza su un treno bestiame, occupato interamente da ebrei, tutti appiccicati, indifesi, così diversi, ma così simili nella tragedia! Arrivano stremati, dopo un tempo infinitamente lungo, nella fabbrica principale della morte, il campo di sterminio di Auschwitz, in Alta Slesia, dove viene effettuata la prima selezione in base al sesso e poi, successivamente, sulla base delle abilità e dell’utilizzo che potrebbero avere nel campo di lavoro. La ragazzina viene separata dal padre, poi dalla madre, che non vuole lasciarla, non potendo mai immaginare una vita senza di lei; vorrebbe seguirla nel gruppo di sinistra, ma qui si intromette una SS, che, in un moto di sorprendente umanità, la spinge con la sorella Margaret a destra, verso quella che scoprirà essere la via della vita, anche se una vita disumana e durissima, nella quale, come ama dire Liliana Segre, “si andava avanti per la Stella che ogni sera brillava in cielo” e trasmetteva coraggio per affrontare la crudeltà del campo, il freddo, la fame, la stanchezza, le malattie, i pidocchi: l’unico appiglio per non lasciarsi travolgere dal “male totale” e poter immaginare un continuo di vita oltre il filo spinato. Dopo tre mesi, le due sorelle vengono mandate a Bergen Belsen, altro campo di morte, in cui Edith ha la fortuna di essere scelta per un lavoro che la tiene in vita: si occupa della cucina dove, di tanto in tanto, può permettersi di ciancicare bucce crude di patate, pezzetti di pane duro, resti di legumi… Qui miracolosamente riceve la vita da un suo collega, un internato come lei, che la riveste di una nuova umanità, chiedendole semplicemente il suo nome e regalandole un pettinino, dono impensabile in quell’inferno! Edith pronuncia il proprio nome e ritrova la dignità sottrattale, da un tempo che non riesce a quantificare, durante il quale era stata solo un numero inciso sull’avambraccio. La ragazzina uscirà dall’internamento soltanto nel 1945, con la liberazione del campo, grazie alle forze congiunte di Russi ed Americani. Libera, ma senza più riferimenti, vaga per molti anni in cerca di un posto in cui stabilirsi, fino a quando, nel ‘54, giunge in Italia, prima a Napoli, poi a Roma, dove tutt’oggi risiede, e dove incontra l’amore, il regista Nelo Risi, compagno affettuoso della seconda parte della sua vita. Intanto la giovane donna sente sempre più prepotente il bisogno di raccontare l’orrore che ha vissuto, che chiede con urgenza di uscire dalla sua testa e dal suo cuore martoriato; inoltre sa di aver promesso ai sopravvissuti, suoi compagni di sventura, di non tacere, ma di testimoniare ogni brutalità, crudeltà, disumanità, di portare alta la voce dei morti, degli innocenti che non possono più raccontarsi. Così inizia a scrivere, un racconto dopo l’altro, e a narrare le sue esperienze, nelle scuole, nei teatri, in giro per il mondo…Durante l’intervista, Edith ha fatto riferimento anche alla guerra che in questi giorni sta devastando l’Europa, mettendo a rischio la pace che si era a fatica ripristinata dopo i due grandi scontri mondiali, che ci sta catapultando in un mare burrascoso, all’insegna di ordigni, sangue, morte, urla, divisioni, distruzioni, desolazione senza fine… Per testimoniare a favore della vita, ha invitato tutti a scendere in piazza e manifestare contro la guerra, a farci portatori di un autentico messaggio di pace, poiché tutte le guerre sono insensate e non si può essere mai indifferenti alla sorte dei nostri fratelli, perché nel mondo di oggi non c’è più lontananza, ma tutto è estremamente vicino: le culture, le etnie, i modi di vivere e le tradizioni diverse rendono il mondo colorato, una terra che va tenuta pulita dagli scontri, dalle guerre, e che va coltivata, ogni giorno, da tutti, con semi di pace e amore. Inoltre, come ci ha dimostrato Edith con il proprio comportamento di fronte ai suoi aguzzini, occorre prendere coscienza che l’odio è una brutta bestia, che il rancore e la vendetta vanno estirpati dal cuore, perchè, se tenuti troppo dentro, ci logorano e ci consumano, mentre la nostra anima deve volare libera!