//I Papi nella Divina Commedia

I Papi nella Divina Commedia

di | 2021-04-08T17:50:43+02:00 8-4-2021 13:29|Alboscuole|0 Commenti

Di Simone Mallozzi 2^D – 

Tra i tanti personaggi che Dante “incontra” nel suo viaggio ci sono anche alcuni Papi, che colloca esclusivamente nell’Inferno e nel Purgatorio, e non nel Paradiso, per affermare la sua dura condanna dell’operato del Papato. Il primo Papa che Dante incontra è Celestino V
Vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto (Inf III, 59-60)  
Celestino V  viene collocato tra gli ignavi, una delle categorie dal poeta particolarmente disprezzate, perché Dante è condizionato dal rancore personale; infatti se Celestino V non avesse rinunciato all’incarico di Papa, non sarebbe asceso al soglio pontificio Benedetto Caetani, cioè Papa Bonifacio VIII, che fu artefice dell’esilio politico del poeta. Successivamente incontra Niccolò III, tra i Papi simoniaci, colpevoli di aver fatto mercato delle cose sacre e destinati a essere infilati a testa in giù in una delle buche della terza bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno, dove emergono solo le gambe fino alle cosce mentre fiammelle bruciano i loro piedi. Dante si accorge che uno dei peccatori si lamenta più degli altri e che le fiammelle con cui è punito sono di un colore più acceso. Avvicinandosi, il poeta viene scambiato dal peccatore con Bonifacio VIII (Ed el gridò: Setu già costì ritto, setu già costì ritto, Bonifazio? Di parecchi anni mi mentì lo scritto. Setu sì tosto di quellaver sazio per lo qual non temesti tòrre a nganno la bella donna, e poi di farne strazio?), accusato di atti empi nei confronti della Chiesa. Dopo che Virgilio chiarisce il fraintendimento, il dannato si presenta.
e veramente fui figliuol de l’orsa, cupido sì per avanzar li orsatti, che sù l’avere e qui me misi in borsa (Inf XIX, 70-72)
Si tratta di Papa Niccolò III, della famiglia Orsini, che si arricchì  per tutto il corso della sua vita, esercitando continue azioni di nepotismo, e per questo fu condannato. Facendo parlare il dannato, Dante colpisce anche Bonifacio VIII, artefice del suo esilio.  Tra il poeta fiorentino e il pontefice  non ci furono buoni rapporti; questo Papa viene ricordato come colui che nel 1300 proclamò il primo Giubileo della storia, ma Dante lo menziona  come colui che fece decadere le speranze di una riforma all’interno della Chiesa e come il fautore delle nuove divisioni fra le fazioni politiche dell’epoca. Nel canto dei simoniaci Dante lo cita ma non lo inserisce direttamente come dannato infernale;  nel 1300 (anno in cui è ambientato il cammino di Dante) Bonifacio VIII è ancora vivo e muore nel 1303. Anche nel XXVII Canto dell’ Inferno, nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti i consiglieri fraudolenti, Dante fa riferimento a Bonifacio VIII quando incontra Guido da Montefeltro che gli racconta come è caduto in peccato accusando proprio Bonifacio VIII.
Lo principe d’i nuovi farisei (Inf. XXVII, 85)
Sempre nel suo colloquio con DanteNiccolò III esprime anche la sua premonizione: egli sarà, infatti, seguito da due Papi che prenderanno il suo posto : Niccolò III sarebbe stato collocato in un punto sempre più basso delle pareti rocciose della Bolgia. Bonifacio VIII e Clemente V lo avrebbero seguito nello stesso Cerchio, in quanto entrambi simoniaci. Clemente V, in particolare, è stato il responsabile del trasferimento della sede papale ad Avignone e del fallimento dell’impresa di Arrigo VII, in cui Dante aveva riposto le proprie speranze di restaurazione imperiale.  Divenne Papa con il sostegno di Filippo il Bello, re di Francia,  e fu un pontefice avido e lussurioso.   In Par.,XVII,, 82 l’avo  Cacciaguida parla di  Clemente V come il guasco che ingannerà l’alto Arrigo,  proprio facendo esplicito riferimento alla sua opposizione all’imperatore del Lussemburgo. Nel XXX , 142-148, Beatrice dice di  lui   palese e coverto / non anderà con lui (Arrigo VII) per un cammino, cioè tradirà l’imperatore il cui seggio è già pronto nella rosa dei beati, profetizzando che il papa sarà sprofondato nella stessa buca della III Bolgia dove sarà prima confitto Bonifacio VIII.

… verrà di più laida

di ver’ ponente,un pastor sanza legge (Inf. XIX, 82-83)

   Clemente IV , invece, è ricordato da Dante nel  Purgatorio, come ispiratore dello scempio del cadavere di Manfredi operato, di fatto, dal vescovo di Cosenza.

Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia di me fu messo per Clemente allora, avesse in Dio ben letta questa faccia, 

l’ossa del corpo mio sarieno ancora in co del ponte presso a Benevento, sotto la guardia de la grave mora.

(Purg. III, 124-129)

Continuando il suo viaggio, Dante incontra Adriano V  fra gli avari e i prodighi nella V cornice del Purgatorio; la loro pena consiste nell’ essere rivolti a terra come in vita furono attaccati ai beni materiali, volgendo le spalle al cielo, perché in vita avevano trascurato i beni spirituali. Martino IV è collocato nel Purgatorio in quanto famoso per essere ingordo di cibi e bevande,  soprattutto di anguille e vernaccia.

 Dal Torso fu, e purga pe  l’anguille di Bolsena e la vernaccia  (Purg. XXIV, 23-24)

  Importante è anche il XXVII Canto del Paradiso dove San Pietro accusa: “Non fu nostra intenzion ch’a destra mano d’i nostri successor parte sedesse, parte da l’altra del popol cristiano; né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo che contra battezzati combattesse”. Il passo è uno dei momenti più alti della polemica di Dante contro la corruzione della Chiesa, qui affidata non a caso a S. Pietro che disprezza i suoi successori corrotti.  S. Pietro individua come bersaglio della sua polemica soprattutto Bonifacio VIII, che secondo lui “usurpa” il soglio pontificio.
Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, fatt’ ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza; onde ’l perverso che cadde di qua sù, là giù si placa (Paradiso XXVII, 22-27)  
Pietro usa parole durissime contro di lui e lo accusa di aver trasformato il suo “cimitero” (il Vaticano) in una fogna sordida della sua corruzione, al punto che Lucifero gode di ciò nell’Inferno; più avanti aggiunge che il simbolo delle chiavi è apposto su vessilli che vengono usati per combattere “contra battezzati”, con riferimento alla guerra con cui Bonifacio espugnò la rocca di Palestrina dove erano asserragliati i Colonna, mentre l’effigie di Pietro viene usata per sigillare documenti che assegnano “privilegi venduti e mendaci”, ovvero la vendita delle indulgenze a scopo di lucro, infatti proprio Bonifacio aveva indetto il primo Giubileo nell’anno 1300, essenzialmente per trarne un vantaggio economico. Tutto il discorso di Pietro rappresenta la critica visione di Dante verso la Chiesa e il Papato, ed è incentrato sul confronto polemico tra la Chiesa delle origini, povera e perseguitata dagli imperatori pagani, e quella del Trecento che vive nella corruzione. S. Pietro dichiara che la Chiesa è stata nutrita col sangue dei primi papi martirizzati, tra cui lui stesso, Lino, Anacleto, Sisto I, Pio I, Calisto I e Urbano I, mentre ora i papi corrotti si arrogano il potere di decidere la sorte dei cristiani attraverso la vendita delle indulgenze. Nel XVIII canto del Paradiso Dante fa riferimento anche a Giovanni XXII senza nominarlo; si rammarica che il malo essemplo dei Papi corrotti induca gli uomini a comportarsi in modo scorretto e che la Chiesa sia danneggiata dal commercio di cose sacre che i pontefici simoniaci praticano per arricchirsi; fra questi ultimi c’è Giovanni XXII, definito da Dante colui che scrive solo per cancellare, con allusione alla revoca dei benefici ecclesiastici al fine di incamerarne i proventi. Dante accusa indirettamente Giovanni di usare l’arma della scomunica per colpire i nemici politici, mentre un tempo si faceva guerra con le spade per difendere la fede; il poeta pensa quasi certamente alla scomunica contro Cangrande; invita quindi il Papa a pensare a Pietro e Paolo che hanno affrontato il martirio per la vigna che ora il pontefice guasta, ovvero la Chiesa che poco prima è stata definita il templo / che si murò di segni e di martìri. Se Dante avesse conosciuto Papa Karol Wojtyla, un Papa senza paura che si è chinato sulla “sofferenza” e sulle “piaghe “ dell’uomo per dare testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio e della sua misericordia, sicuramente gli avrebbe concesso un posto in Paradiso. San Giovanni Paolo II disse di Dante :”Trasumanare. Fu questo lo sforzo supremo di Dante: fare in modo che il peso dell’umano non distruggesse il divino che è in noi, né la grandezza del divino annullasse il valore dell’umano. Per questo il Poeta lesse giustamente la propria vicenda personale e quella dell’intera umanità in chiave teologica…”,”…Dante lottò per la giustizia, non l’ottenne dagli uomini, la chiese a Dio; la sua fede lo sostenne nel suo viaggio terreno, nonostante l’esilio e le condanne…”.