//“Come l’Araba Fenice”: il Liceo Classico “NIFO” si aggiudica il Premio V.E.R.I.

“Come l’Araba Fenice”: il Liceo Classico “NIFO” si aggiudica il Premio V.E.R.I.

di | 2021-12-23T02:05:48+01:00 23-12-2021 1:58|Alboscuole|0 Commenti
SESSA AURUNCA (CE) – Grande soddisfazione per il Liceo Classico “Agostino Nifo”, diretto dal Prof. Giovanni Battista Abbate, alla XIV Edizione del Premio Letterario “VERI” in ricordo della splendida Veronica Abbate, strappata alla vita all’età di 19 anni da colui che diceva di amarla: Alessandra Sgammato, brillante studentessa della Classe III A, si è aggiudicata una delle 8 borse di studio messe in palio con un toccante elaborato letterario contro la violenza sulle donne intitolato “Come l’Araba Fenice”.
“Scheletro di me che sei, voltati, guardami, fissami, scrutami le crepe dell’anima e poi sussurra, parla, grida il mio nome, scrivilo a caratteri cubitali sul ciglio delle strade, ai margini dei fogli, sui vetri appannati delle macchine; prendimi la mano e danziamo in punta di piedi su distese di papaveri rossi, sull’asfalto, sulla terra e sul fango; trasformami in vento e concedimi la libertà di cui sono stata privata. Scheletro di me, a stento scorgo i tuoi confini, a stento riconosco lo stato in cui ti ho lasciato, ormai sfinito dal tentativo di vincere una battaglia persa già in partenza. Le vele strappate, il mare in burrasca, tu l’unico marinaio rimasto a bordo. Ma guardati intorno…  credi ancora di esserlo? Non vedi mucchi di tuoi simili accatastati sui fondali marini? Scheletro di me, ora che esisti solo nel ricordo di pochi, apri gli occhi e dimmi, cosa ti è successo? Come sei arrivato al punto di restare inerme di fronte alle intemperie, senza gettare l’ancora quando ancora eri in tempo? Mi rispondi che era tardi e che forse quell’ancora non era mai stata a bordo. D’altronde, come biasimarti? Nessuno di noi due aveva colto i segnali. Sogno d’amore che sei, ho percorso miglia solo per essere colei che cade alla tua porta; ora alzo lo sguardo e mi accorgo che la casa ha già cessato di esistere. Con le ginocchia sbucciate ne osservo le macerie, ne ricordo l’origine e scuoto il capo per dimenticarne la provenienza. Sogno d’amore che sei, ti sento urlare di dolore da quassù, inghiottito dalle voraci fiamme di un incendio che qualcuno ha appiccato e in cui sei stato intrappolato ingiustamente prima ancora che tu potessi scappare, prima ancora che noi potessimo scappare. Di te ormai ho un ricordo vago e ogni volta che provo a rincorrerti fai uno scatto repentino e sparisci. Una parte di me ti detesta per avermi fatto credere che fossi ancora vivo quando di te non rimaneva altro che cenere, al punto da implorarti a ritornare ciò che mi avevi raccontato di essere. Si è poi abbattuta su di me l’idea che il reale antagonista della storia non fossi tu, ma soltanto l’ombra distorta di un tuo simile, il tuo falso riflesso in uno specchio frantumato da tempo; le nocche insanguinate non erano le mie, eppure i vetri ricadevano su di me come pioggia di grandine pesante. E tu parvenza d’uomo, con quella tua ossessione che mi hai presentato come innocente gelosia; tu e quella tua asfissiante morbosa rabbiosa morsa che tocca, assilla e spinge finché non barcolli e alla fine cedi… Se avessi ancora la leggerezza di una fanciulla invece di questo torturato, straziato e pesantissimo cuore che mi rimane, avrei avuto la forza di rialzarmi anche quando non potevo più farlo; avrei avuto la possibilità di usare parole anche quando non c’era più nulla da dire; avrei avuto il tempo di raccontare come ogni giorno aspettavo il tuo ritorno mentre dipingevo il tuo ritratto con i colori migliori. Nella mente continua ad aggrovigliarsi la solita domanda: mentre tu eri là fuori, chissà dove, chissà perché, chissà con chi, dov’ero io? Io che, incatenata ad una speranza fasulla e illusoria, ho fatto di te il tempio in cui pregavo ogni sera per ottenere note a piè di pagina nella storia della tua vita fino a scordare la mia, fino al non saper più riconoscermi dopo le innumerevoli sembianze che ho indossato per bastarti. Le senti? Le senti anche tu tutte quelle persone che sono stata, scalpitare, fremere e poi piangere, gridare e implorare di uscire perché non c’è spazio per tutte in un animo così logorato, dove soffia vento gelido dalle finestre e dove piove dal tetto anche quando c’è il sole? Inetto che sei, abbassa lo sguardo e ripercorri i tuoi passi, guarda i danni che hai causato a tutte noi: donne che hai oppresso con la tua prepotenza maligna, tappando bocche in procinto di pronunciare parole e sbarrando la strada a coloro che avevano appena imparato a camminare. Chissà se sai com’è vivere senza ricevere aiuto, favori, protezioni; vivere sapendo quant’è difficile essere ciò che si è! Donna, audace e impavida è la tua impresa di provarci ugualmente, di fallire e di ricominciare ancora e ancora. In un mondo maschilista, si dia voce alle donne che voce non hanno più e la cui anima è più usurata del corpo; a quelle che pugnalano per difendersi e vedono la propria libertà rinnegata; a quelle che non si piegano alla menzogna e cantano la propria dimensione di donna mentre la vedono portar via. Scheletro di me che sei, rendimi sopravvissuta anche se viva non sono affatto!”
Il premio è stato conferito dall’Associazione V.E.R.I., che opera nel campo delle problematiche inerenti alla condizione delle donne nell’attuale società, con particolare riferimento a ogni tipo di violenza, nel corso della cerimonia di premiazione del concorso svoltasi il 15 dicembre scorso presso il Teatro Ariston di Mondragone (CE).