//Capitolo 5 di “Omicidio nella notte a Parigi” LA CONCLUSIONE

Capitolo 5 di “Omicidio nella notte a Parigi” LA CONCLUSIONE

di | 2020-05-06T20:52:45+02:00 6-5-2020 20:52|Alboscuole|0 Commenti
  Qualcosa andò storto. Il nostro “amico” riuscì a liberarsi dalle corde. Evidentemente la randellata in testa si era rivelata meno efficace del previsto. Il giovinastro si dimenò così tanto e così forte che nel tentativo di liberarsi mi fece un taglio in volto che andava dalla fronte fino alla guancia, passando attraverso l’occhio: era una sensazione orribile. Mi sentivo il sangue colare sulle guance: avevo un mal di testa terribile, la pressione si stava abbassando, le orecchie fischiavano e la vista era offuscata. Il mio collega alto 1 e 60 m, cercò di aiutarmi: “IL TAGLIO! COPRILO, FAI CESSARE L’EMORRAGIA, O MORIRAI DISSANGUATO NEL GIRO DI POCO!”. Mi prese il panico. Non mi ero mai trovato in una situazione così tragica e la parte peggiore di tutto ciò è che il nostro sgarbato prigioniero era riuscito a scappare: era in giro per il monastero, libero di compiere i suoi omicidi. Non potevo permetterlo, non volevo che altre persone provassero quello che stavo provando io. Così io e il mio amico siamo andati a cercarlo, ma si era nascosto bene: era troppo intelligente per farsi trovare. Il mio collega mi consigliò di andare a dormire: non poteva darmi consiglio peggiore. Tamponai la ferita e mentre ero a letto percepivo ogni sorta di rumore: respiri, colpi di tosse, lamenti, risatine. Addirittura ho sentito chiaramente muoversi qualcosa sotto di me. C’era qualcuno e io sapevo chi era. Per sua fortuna (e mia sfortuna) non avevo il pugnalino a portata di mano, ma a dirla tutta, era possibile che lo avesse lui. Mi sono alzato in piedi facendo un balzo che sembrava quello di un gatto quando è inseguito da un cane: lui allora mi ha visto e mi ha riconosciuto. A quel punto ho preso la decisione più importante e decisiva della mia vita: una volta certo che mi seguisse, mi sono recato nel mio laboratorio e dopo aver preso la fialetta contenente il virus, mi sono avvicinato al mio “amichetto” per lanciargli il contenuto addosso. La fiala gli è volata dritta in faccia, gli schizzi però hanno raggiunto anche me: ero finito di sicuro. Sono corso verso il passaggio segreto e mentre lo stavo chiudendo per bene, lui mi è saltato addosso, ma sono riuscito a difendermi tirandogli un pugno dritto nelle costole e l’ho steso. Ed ora mi ritrovo qua, a scrivere questo racconto, in attesa di morire per il virus che ho chiamato Corona per via della nobiltà della sua prima vittima, quel giovinastro. Ora lo sento, manca poco alla mia … FINE Giacomo Ozzino, 2^H