//Al dialèt frarés al nè brisa mort

Al dialèt frarés al nè brisa mort

di | 2019-03-02T16:06:49+01:00 2-3-2019 16:06|Alboscuole|0 Commenti
Perché parlare ancora il dialetto? Per abitudine, per comunicare coi propri nonni, per salvaguardare un’antica tradizione linguistica… Magari non si arriverà mai a proporre un’esasperata “iniziativa identitaria” simile a quella che, nel marzo 2018, ha portato l’idioma veneto ad entrare nelle scuole, come è avvenuto all’istituto comprensivo “Fogazzaro” di Trissino (Vicenza), ma di certo il dialetto ferrarese, parlato nella bella città degli Estensi soprattutto dalla popolazione superiore ai 40 anni d’età, non è svanito: è vivo e “resiste”, anche se si è dovuto adattare alle nuove generazioni. Tale dialetto, con la sua pronuncia netta e decisa di un'a alquanto “aperta”, simile a quella che i ferraresi utilizzano nel loro celeberrimo intercalare “maial” (ndr. contrazione dell'antica esclamazione "Mai al mondo!"), resterà certamente “bandito” dalle aule scolastiche di ogni ordine e grado ancora a lungo! Eppure il vernacolo locale, che già nel 1853 il linguista Bernardino Biondelli definiva, nel suo Saggio sui dialetti gallo-italici, il dialetto emiliano “meno aspro, avendo esso pure raddolcita la pronuncia al contatto con l'accento scorrevole dei Veneti”, conserva ancor oggi la propria identità territoriale e il proprio “fascino”. Ad oggi compreso ed utilizzato da migliaia di cittadini (che lo usano soprattutto in ambito domestico o amicale, mentre in ambiti lavorativi ed ufficiali viene prediletto l’italiano), il dialetto ferrarese ha saputo sopravvivere davvero a tutto, persino a mezzi di comunicazione come la televisione e la radio che, fin dalla metà del ‘900, hanno svolto un ruolo fondamentale per l’alfabetizzazione, l’unificazione linguistica e l’acculturamento di milioni di Italiani i quali, prima di trasmissioni come “Non è mai troppo tardi” (condotta dal bravissimo maestro Alberto Manzi), non sapevano né leggere né scrivere. Al dialèt frarés sussiste anche in forma “ibrida” nelle province di Cento, Poggio Renatico, Argenta e Portomaggiore (perché in quelle zone è più forte l’influenza dei dialetti veneto e polesano, romagnolo e bolognese), nonché in frazioni transpadane del Rodigino, quali Occhiobello, S.Maria Maddalena e Stienta, dove la vicinanza geografica fa sì che gli abitanti non abbiano grossi problemi a capirsi fra loro. Diverso è, invece, il discorso che si potrebbe fare per le zone “costiere” affacciate sul mare Adriatico o site nel Delta del Po (come Comacchio, Porto Garibaldi, Lagosanto e Codigoro) dove la parlata locale risulta fortemente indipendente e chiaramente distinguibile dal ferrarese: sarà forse colpa dell’insularità goduta da Comacchio fino al 1821, quando un terrapieno l’ha infine collegata alla terraferma; o forse sarà colpa degli Etruschi, dell’Esarcato di Ravenna, dei Longobardi, dello Stato Pontificio che si sono avvicendati sul territorio nel corso dei secoli, e il cui lascito culturale ha certamente inciso nella differenziazione linguistica che, anche al giorno d’ oggi, persiste tra Ferrara e Lidi comacchiesi. Come che sia, il dialetto locale resta inconfondibile e unico nel suo genere. Alla sola pronuncia, in qualsiasi luogo ci si trovi, la nostalgia di casa riaffiora“ Classe 3 F Studenti: Bosco, Vecchi, Zouaghi, Ghelfi, Policardi, Zamboni