PALERMO – Dopo Bergamo, Cosenza e Trento, per il 2025 è Palermo la capitale italiana del Volontariato: infatti, a dicembre scorso, Lilia Doneddu, vicepresidente del Centro Servizi del Volontariato del Trentino, ha passato il testimone a Giuditta Petrillo, presidente del CeSVoP, Centro Servizi per il Volontariato di Palermo.
Ma quanti sono oggi i volontari in Italia? L’ultimo censimento Istat (2021) registra poco più di 4,6 milioni di volontari attivi in Italia, presenti in circa 360.000 organizzazioni non profit, con un calo di circa 900.000 volontari rispetto alla rilevazione del 2015. Come evidenzia la ricercatrice Sabrina Stoppiello, per ragioni metodologiche l’indagine tiene fuori alcuni gruppi di volontari: “Questa rilevazione campionaria registra solo i volontari attivi nelle organizzazioni non profit. Fotografiamo quello che viene chiamato ‘volontariato organizzato”, che rappresenta una fetta molto significativa, ma non la totalità dei volontari in Italia”. Non sono quindi considerate le persone che operano al di fuori di organizzazioni strutturate come, ad esempio, chi si impegna occasionalmente per rispondere a emergenze ambientali, o molti gruppi informali di giovani attivisti per il clima.
Dove si fa più volontariato? Il grosso delle organizzazioni non profit storicamente è concentrato al Nord: il Trentino-Alto Adige è la Regione col maggiore rapporto tra volontari e popolazione residente, qui più di 1 persona su 5 fa volontariato. Tuttavia, al Sud, rapportando il numero di volontari alla popolazione residente, Sardegna e Basilicata registrano valori rispettivamente in linea e superiori alla media nazionale (7,8%).
Non è facile dire poi se il volontariato sia un’attività svolta più dalle donne o dagli uomini. I numeri del censimento sembrerebbero dare il primato ai maschi, che rappresentano il 58,3% dei volontari nelle organizzazioni non profit. Una spiegazione per il divario di genere sarebbe fornita dalla distribuzione per settori di attività: la differenza è particolarmente marcata nei due settori con il più alto numero di volontari (attività ricreative e sportive), così come nel settore delle relazioni sindacali e dell’attività politica. Ma, negli altri settori, maschi e femmine si equivalgono; in alcuni addirittura – sanità, religione, istruzione, filantropia e cooperazione internazionale – le donne superano numericamente gli uomini.
Dall’osservatorio del CSVnet (associazione nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato) si fa notare che la struttura patriarcale del nostro Paese incide sulla presenza delle donne nel volontariato: “Le donne in genere hanno minore disponibilità di tempo per fare volontariato perché sono maggiormente assorbite dai carichi familiari sia nei confronti dei figli sia dei genitori”, sostiene Chiara Tommasini, presidente del CSVnet.
Riguardo all’età dei volontari, la presidente Tommasini afferma poi che si registra “una vitalità pronunciata nella partecipazione giovanile, anche se è meno assidua e costante che in passato. (…) Però le forme di partecipazione sono più fluide… perché i giovani hanno traiettorie di vita e lavorative meno stabili e una maggiore difficoltà a dare un contributo costante e formalizzato”.

Cantieri Culturali della Zisa a Palermo
I dati statistici mostrano una realtà evidente: avere un’occupazione stabile facilita lo svolgimento del volontariato. È stato sottolineato che per i giovani, che vivono condizioni di vita e di lavoro più precarie rispetto alle generazioni precedenti, è sempre più difficile avere tempo disponibile per il volontariato. Tanto che, spesso, essere volontari è quasi diventata una dimensione di privilegio. Forse la sfida per il futuro, in un’Italia che invecchia e si spopola, è un volontariato che possa continuare a essere una forza viva e portatrice di istanze di inclusione e giustizia.
Nel contesto delle iniziative legate alla promozione di Palermo Capitale del Volontariato per il 2025, il 7 marzo scorso, ai Cantieri Culturali della Zisa, si è svolto un evento celebrativo con una doppia valenza: ripensare criticamente il ruolo del volontariato oggi e ricordare i 25 anni di esistenza dell’Associazione cittadina di Volontariato Penitenziario (AsVoPe).
Bruno Distefano, presidente dell’AsVoPe, ha sottolineato il traguardo significativo dell’associazione, che in questi anni si è spesa con senso civico e con solidarietà nel complesso ambito del sistema penitenziario, rendendosi protagonista di un impegno costante per un dialogo costruttivo tra il mondo del carcere e la società esterna, con l’obiettivo di promuovere la dignità, il recupero e la reintegrazione delle persone detenute. Nell’incontro è stato presentato il libro Punizione (Il Mulino, Bologna) di Giovanni Fiandaca, professore emerito di Diritto penale: a partire da questo testo, si è discusso sul senso educativo della detenzione, in un’era di profondi cambiamenti sociali e giuridici.

Da sinistra, Bruno Distefano (presidente AsVoPe), Nunzio Bruno e Augusto Cavadi
La prima parte dell’evento è stata dedicata a un dibattito sul senso dell’impegno oggi, a partire dal libretto Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, opera del professore Augusto Cavadi, che ha vestito i panni del volontario da quando, dodicenne, aveva i calzoni corti dell’AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani). Il dibattito è stato moderato da Nunzio Bruno, coordinatore dell’area comunicazione del CeSVoP, e dalla scrivente.
Sono state innanzitutto ricordate le motivazioni etiche che muovono i volontari, credenti e non credenti: “Lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”, auspicava Baden Powell, fondatore dello scoutismo; “Non essere sordi alle sofferenza dei nostri fratelli, figli dello stesso Padre”, e tenere alto il ‘principio responsabilità’, chiedono i credenti e il filosofo Hans Jonas.
Il volontario, ha sottolineato Cavadi, se vuole essere davvero incisivo nella società, deve avere ‘un cuore pensante’ e ha il dovere di attrezzarsi per acquisire le competenze necessarie: psicologiche (Come ci rapportiamo con gli altri? Quali motivazioni ci spingono a intraprendere il volontariato?); metodologiche (Che significa lavorare per progetti? Che significa lavorare in gruppo? Dove attingere i finanziamenti?); sociologiche e antropologico-culturali (Qual è il contesto sociale, storico e culturale del territorio dove operiamo? Quali sono le strutture amministrative con cui ci confrontiamo dialetticamente?).
Del volontariato sono poi emersi i punti forti (le associazioni di volontariato rimangono luoghi di riflessioni critica ed esperimenti concreti di solidarietà: in una società sempre più liquida – per utilizzare un aggettivo caro al sociologo Bauman – in cui si esaltano spesso solo profitto e carrierismo, le associazioni di volontariato rappresentano dei laboratori di gratuità, occasioni preziose di relazioni umane significative, palestre di partecipazione democratica), ma anche i punti deboli (l’alto tasso di mortalità e, spesso, la scarsa incidenza nel tessuto sociale; il rischio concreto che il volontariato diventi sterilmente consolatorio, addormentando la percezione dei propri diritti da parte degli assistiti, o che svolga compiti di pertinenza del settore pubblico, finendo per fare opere di supplenza e diventando alibi per l’inefficienza delle Istituzioni).
Sono state infine rimarcate le tre ineludibili direzioni di marcia del volontariato: culturale, etica e politica. A livello culturale, il volontario non può essere un analfabeta civico; in ambito etico, è stata ribadita la centralità di tre parole-chiave: solidarietà, servizio, comunione; in ambito politico (la politica con la P maiuscola, non quella partitica) si è sottolineato che “il volontariato deve andare oltre la solidarietà ‘corta’, immediata, diretta: deve farsi lungimirante ed attivare iniziative che, nel lungo periodo, modifichino i meccanismi strutturali, permanenti, che producono e riproducono il disagio”.

Luciano Tavazza
Sono state infine ricordate le parole del compianto Luciano Tavazza, giornalista cattolico che ha collaborato alla stesura della legge-quadro sul volontariato (l.266/1991): “La dimensione politica del volontariato si realizza cercando di individuare e superare le cause, i motivi che generano e rigenerano quotidianamente le ingiustizie, le sofferenze indebite, il disagio esistenziale, l’emarginazione, la povertà, il sopruso che rendono disumana la convivenza dei cittadini più deboli, oppressi nella loro dignità e libertà (…). Il volontario non è dunque un barelliere della Storia, non è una dama di carità, ma un cittadino solidale che coniuga la carità immediata con la giustizia strutturale”.
Maria D’Asaro
Nell’immagine di copertina, il passaggio di consegne per la capitale italiana del Volontariato tra Lilia Doneddu e Giuditta Petrillo
Grazie, Maria, per l’ampio e istruttivo report.
Grazie cara Maria.
So molto poco di volontariato e questo articolo mi dà tanti spunti di riflessione in ordine alla solidarietà laica e alla necessità di specifiche competenze.