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Una democrazia vera si riconosce dalle carceri

di | 2021-09-17T20:00:52+02:00 19-9-2021 6:30|Attualità, Sezione 7|0 Commenti

RIETI – “Il carcere, la pena ieri e oggi” (ed. Amarganta) un tema delicato, difficile e troppo spesso taciuto. “Quello che per noi opinione pubblica rappresenta una fine (l’arresto del responsabile), per il reo è un inizio (l’apertura delle porte del carcere). Ma cos’è il carcere? Cosa succede a chi vi entra?”. A queste domande ha provato a dare una risposta Emanuela Cardone, autrice del libro, frutto della sua esperienza come assistente volontario penitenziario presso l’associazione Sesta Opera San Fedele di Rieti (presieduta da Nazareno Figorilli), nella Casa Circondariale di Rieti a Vazia e dei suoi studi (una laurea in scienza dell’investigazione e una in scienze dell’educazione e della formazione).

Il carcere dovrebbe avere una funzione rieducativa e riparativa, le pene devono avere funzione socializzante, ma è veramente così? “La società si deresponsabilizza, restano i pregiudizi verso chi sbaglia, bisogna cambiare cultura e mentalità, parlare di più del carcere e delle misure alternative, anche perché il carcere non è l’unica risposta”. La materia non riguarda solo la riforma della giustizia (e le contestazioni a più voci rivolte alla riforma Cartabia), ma anche l’edilizia penitenziaria, i ritardi legislativi e uno Stato che non sta al passo con una società che cambia velocemente. “Nelle mura del carcere tutto si amplifica, l’assistenza primaria fa da filtro con il mondo esterno, ma è difficile mantenersi equilibrati: nessuno educa nessuno, ci si educa insieme”.

Il carcere di Vazia è stato aperto nel 2009 ed è la prima casa di reclusione in Italia a sperimentare un modello di sorveglianza dinamica, in cui gli agenti penitenziari non svolgono solo un ruolo di custodia. Nella prima parte il libro espone l’itinerario storico-giuridico con i concetti di pena e detenzione, il ruolo di risocializzazione, riabilitazione e riparazione, nella seconda si possono conoscere detenuti e familiari (italiani e stranieri) del carcere. Le celle sono aperte dalle 9 fino all’ora del pranzo e dalle 16,30 alle 19,45, sorveglianza discreta e uso comune della cucina. Gli sportelli di ascolto di Sesta Opera, costantemente presente con i propri volontari, si dividono in assistenza primaria, materiale, previdenziale, fiscale, legale e immigrazione. Difficile (ma non impossibile) il reinserimento nella società, ma servirebbero investimenti adeguati. “Un detenuto si sente inutile e senza responsabilità – scrive uno di loro, oggi felicemente reinserito a Rieti – bisognerebbe creare più lavoro, sia interno che esterno al carcere”.

Il carcere di Vazia

Essere utile, sentirsi utile e parte di un progetto è importante: dopo il terremoto di Amatrice i detenuti hanno voluto rendersi utili organizzando una raccolta fondi e cinque di loro, opportunamente formati e con un accordo tra il carcere e il Comune, hanno lavorato ai giardini delle Sae (soluzioni abitative di emergenza) di Amatrice: così è nato un buon rapporto con la popolazione che, dapprima diffidente (perché si ha paura di chi e di cosa non si conosce) ha iniziato a fraternizzare, tanto che dopo qualche giorno veniva offerta loro la colazione. A causa del Covid anche nel carcere di Vazia i detenuti hanno protestato fortemente e in questi giorni i sindacati Sappe e Cgil hanno scritto al provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per Lazio, Abruzzo e Molise denunciando “una situazione critica per insetti infestanti di cui non si conosce la natura nel reparto F con rischio per la salute di agenti e detenuti”. I locali sono stati disinfettati e igienizzati.

I pensieri dei detenuti comprendono emozioni e sentimenti rivolti soprattutto ai familiari, in un luogo in cui tutto è rallentato, dove regna solitudine. I vissuti interiori devono essere ascoltati ed espressi attraverso il linguaggio dell’arte, della recitazione, della scrittura, del disegno. A Regina Coeli a Roma sono ormai conosciuti i cigni di carta, a Rieti alcuni detenuti realizzano oggetti con materiali poveri e di recupero e hanno organizzato un mercatino di Natale, aprendo le porte al pubblico, con il sostegno dell’associazione “La strada onlus”. Dovrebbero essere occasioni più frequenti, così come sarebbero necessari più corsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana per i detenuti stranieri, ma anche qui il problema è sempre la carenza di fondi e di investimenti sulla possibilità di recupero e reinserimento nella società, anche per quanto riguarda il lavoro, una volta usciti dal carcere.

Serve un maggior approccio pedagogico e rieducativo, rispetto a quello prevalentemente medicalizzato (sicuramente necessario nei soggetti con dipendenze, complesse dinamiche intrapsichiche, educazione e socializzazione), ma quasi tutte le facoltà di scienze umane e di psicologia non hanno questo tipo di approccio per gli istituti penitenziari e non si risponde alla necessità di comprendere perché una persona delinque ed è portata a delinquere. L’Ue ha approvato il progetto-pilota “Teatro e carcere in Europa”, partendo dalla consapevolezza del valore e dell’interesse per le attività teatrali nel carcere e da qualche anno si sta diffondendo sempre di più il trattamento dell’arte-terapia, che tenta di accedere alla parte più intima e profonda della persona, per indurre un cambiamento positivo. A Rieti, dal 2012, Sesta Opera San Fedele organizza e promuove il progetto Teatro “Al centro della Scena”, dove al centro ci sono proprio loro. Una democrazia che funziona si riconosce anche dalle condizioni delle sue carceri. Il libro si può ordinare su Amazon.

Francesca Sammarco

Nell’immagine di copertina, la presentazione del libro di Emanuela Cardone

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