NUORO – Nella vita ci hanno insegnato, fin da bambini, ad essere comprensivi, flessibili per meglio adattarci agli altri. Facendo ciò, però, spesso sacrifichiamo noi stessi, la nostra autostima, la nostra libertà. Ci sono persone che, per paura di non soddisfare le aspettative altrui o per timore di non essere amate abbastanza cedono sempre, fino al punto di rompersi. Succede a chi non è riuscito a imparare a dire mai no né mai riuscirà a farlo. Occorre, per stare bene con sé stessi, mettere dei limiti, altrimenti non ci rispettiamo concedendo a chiunque il diritto di decidere per noi. Quando questo succede, la nostra autostima diminuisce e spesso lascia spazio a profondi sentimenti di solitudine interiore e fallimento.
Media, slogan, monologhi, lezioni, film o canzoni, negli ultimi anni hanno favorito la crescita nel processo di consapevolezza delle donne e dei loro diritti. C’è un aspetto, però, che spesso viene trascurato: la difficoltà che molte di queste hanno nel dire “no” a causa di motivi radicati nella società e nella cultura. È importante che le donne vengano educate, fin da bambine, a non essere sottomesse e a imporre i propri bisogni prima di quelli degli altri, al fine di creare relazioni sane, paritetiche e rispettose delle persone. Dire di no senza sensi di colpa, in modo assertivo, è un diritto che dobbiamo imparare a riconoscere. Se si evita di dire no si dà importanza all’altra persona ma si rischia di mettere in disparte se stessi, inoltre, talvolta, non dire no è anche un male, perché non si considera la nostra controparte capace di una relazione sana e capace di una gestione equilibrata del mancato consenso. La rappresentazione teatrale “Storia di un no” nasce da questo bisogno educativo: cambiare la cultura del sì a tutti i costi per evitare lo stereotipo della donna che non vale nulla, che è un oggetto di proprietà dell’uomo, che deve vivere in una condizione di sottomissione.
“Storia di un no” è un testo della Compagnia Arione de Falco, insignito nel 2022 con l’Eolo Award, il premio d’eccellenza dedicato al teatro italiano per ragazzi. Lo spettacolo prende il via con una frase lapidaria: “A volte le emozioni arrivano prima delle parole per spiegarle”. Ma le emozioni vanno spiegate sempre, tanto più in adolescenza dove la confusione dei giovani talvolta supera ogni limite. Sulla scena due giovani attori, Annalisa Arione e Dario de Falco, che mettono in atto un’idea nata durante la pandemia, quando non ci si poteva toccare né tanto meno toccare oggetti. Il palco è nudo, gli attori sono soli, senza scenografia e senza cambi abito. Gli ambienti sono disegnati dai corpi dei narratori e dalle atmosfere musicali del maestro Enrico Messina, tutto all’insegna della semplicità e dell’essenzialità. Il pubblico deve seguire il filo conduttore della trama, non distrarsi con orpelli, luci o oggetti vari. Annalisa e Dario rappresentano ogni cosa con gesti e parole, anche le emozioni, piacevoli o spiacevoli, buone o cattive.
Lo spettacolo è pensato per gli adolescenti, per questo viene spesso rappresentato nelle scuole medie di primo e secondo grado. “Storia di un No” racconta di Martina che ha quattordici anni, una pianta carnivora di nome Yvonne con cui parla, non ha vestiti firmati, non ha il motorino ma possiede delle cuffiette bianche. Ha una vita normale, un po’ femminista e un po’ ecologista e come tutte le adolescenti tanta, tantissima incertezza sul futuro e le scelte da fare. Martina non ha la mamma ma uno splendido papà che cerca sempre con lei il dialogo, la riempie di attenzioni e le dimostra in ogni modo il suo affetto. Se in casa si deve festeggiare qualcosa, la cucina profuma di lasagne che scaldano il cuore e allietano il palato. Il padre è un boomer che lavora da casa, attento ai bisogni di una figlia quattordicenne, che ama Jane Austen ma che risulta troppo vecchio per adoperare adeguatamente i social, tanto da scrivere su Whatsapp sms con tanto di punteggiatura.
Martina frequenta regolarmente la scuola, vuole innamorarsi e un giorno incontra Alessandro, il bello dell’istituto, il ragazzo irraggiungibile che la guarda e mostra piacevoli attenzioni verso di lei. Alessandro ha una felpa di marca, un ciuffo a cui dedica venti minuti ogni mattina e s’innamora di Martina in pochissimo tempo. All’inizio della relazione è tutto bello ma, nell’arco di pochissimi incontri, Martina si rende conto che dice e fa cose che non vorrebbe né dire né tanto meno fare. Così nella sua pancia cresce un no che diventa sempre più grande e, quando finalmente riesce ad urlarlo a gran voce, il suo primo amore si conclude, così come la breve relazione fatta di gelosia, invadenza continua, possesso. Alessandro, rispetto a lei è sfortunato, vive in una famiglia dove respira un clima di violenza domestica, dove il padre non è un uomo amorevole bensì un padre padrone che non rispetta la madre, pensa infatti di amarla ma di fatto vuole possederla come un oggetto, e nemmeno lui, la “femminuccia che vorrebbe far uscire dalla sua stanza a suon di calci nel culo”.
Gli attori sulla scena rappresentano con gesti e parole ogni cosa, ogni emozione, anche la rabbia che pervade Alessandro, come quando tira un calcio al cassone della spazzatura. “Storia di un no” non solo racconta di un primo bacio tra adolescenti, ma del bisogno di considerare l’altra metà della coppia come essere funzionale a noi e ai nostri bisogni. Soprattutto racconta di un amore “tossico”, perché Alessandro confonde il sentimento con il possesso. Martina è una ragazza forte, ce ne fossero tante capaci di dire no. Lei non vuole sentirsi un oggetto di proprietà, la metà di un qualcosa che la opprime e la opprimerà in eterno, perciò dice basta, creando con la sua consapevolezza una reazione a catena in grado di cambiare le cose. Capisce che il valore che lei dà all’amore non è corrisposto dal suo ragazzo, che quel sentimento che fa svolazzare le farfalle nello stomaco sembra normale ma di normale ha ben poco.
È un amore tossico, soffocante, una prigione da cui vuole evadere e la sua determinazione la porta a riuscire nel suo intento perché Alessandro prova delle emozioni che non hanno nome, ma che piano piano si trasformano in rabbia, ira e vendetta. Questa storia è però un racconto a lieto fine. Così, quel “no” grande come una casa, che permette a Martina di affrancarsi da un amore sbagliato, in casa di Alessandro verrà urlato contro il padre, mettendo fine alla violenza sia verbale che fisica, che porterà la madre a denunciare il marito e a costringerlo ad andare in terapia per cambiare i suoi comportamenti. Quel “no” fa breccia anche nel cuore di Alessandro che comprende il suo errore e il suo sbagliato modo di vivere il rapporto con Martina.
“Storia di un no” affronta così, parlando ai giovani in modo semplice ma concreto, il tema della violenza collegato al tema delle emozioni, che arrivano sempre prima delle parole con cui esprimerle: è la storia di una catena reattiva di no, perché la violenza si nutre di silenzi assordanti e di omertà e con i “no” comincia a sgretolarsi pezzo per pezzo. Questo spettacolo aiuta a riflettere. Dire “no” può essere difficile per molte donne, ma è un gesto di forza e coraggio, un passo cruciale verso il proprio benessere e l’empowerment personale. Solo attraverso questo cambiamento possiamo lavorare verso una società in cui le persone possono vivere la loro vita in modo più soddisfacente e consapevole, libere e vive.
Virginia Mariane
Bellissimo e interessante