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Il Trovatore infiamma il Circo Massimo

di | 2021-06-27T09:48:46+02:00 27-6-2021 6:10|Sezione 3, Spettacolo|0 Commenti

ROMA – Per la seconda stagione estiva in pandemia del Teatro dell’Opera, si torna di buon grado al Circo Massimo, splendido luogo per le attività sportive di Roma repubblicana e imperiale (promesse le Terme di Caracalla per l’anno prossimo). Qui si è inaugurata con “Il Trovatore” di Verdi la stagione (in programma dal 15 giugno al 6 agosto) e qui ci aspettava la novità dell’eccellente allestimento del capolavoro centrale della trilogia popolare nelle creazioni verdiane, collocato nel 1853 fra “Il Rigoletto” e “La Traviata”. Un allestimento attuato da Lorenzo Mariani, americano figlio di italiani di La Spezia, che attenendosi perfettamente alla partitura di Verdi, col grandissimo e cinematografico fondale scenico elaborato da William Orlandi – coi suoi diluvi, nubi color d’inchiostro, infernali stravolte saette di fuoco – l’espressione sconvolgente delle fosche tinte del capolavoro verdiano.

Una scena de “Il Trovatore” al Circo Massimo

E’ stata tale l’attinenza della scenografia e della regìa con la partitura verdiana, molto difficile da trovare oggi negli allestimenti teatrali, da far dimenticare il via vai di tavolini sul palcoscenico, usati financo per far cantare in piedi i protagonisti, costretti con ciò a preoccuparsi più dell’equilibrio che del canto. Ma Eleonora (Roberta Mantegna) era la stella nascente di “Fabbrica”, l’eccellente Scuola di formazione del Teatro dell’Opera, e le sue cavatine (“Tacea la notte placida”) erano le migliori, come la forte stretta ritmica del duetto col Conte di Luna “Vivrà! Contende il Giubilo…”. Manrico, il bravo tenore Fabio Sartori, ha evitato il celebre do di petto nella cabaletta “Di quella pira…”, e quanto ad Azucena (Clémentine Margaine), la terrorizzante visione del rogo della madre perdeva l’eccesso delle tinte orride, per una più pacata e credibile umana sofferenza. Scontata infine la bravura e la qualità dell’accesa direzione del maestro Gatti, che (purtroppo) lascerà a dicembre, per veleggiare verso altri lidi.

Clementine Margaine

Magnifico spettacolo, caldamente applaudito dal limitato pubblico, ridotto dai divieti pandemici. Il prosieguo della stagione offre al pubblico la ripresa de “Il lago dei cigni”, con l’apprezzabile direzione musicale dell’ucraino Andry Yurkevych, la già vista (Costanzi 2018) e non del tutto convincente coreografia di Benjamin Pech (da Petipa-Ivanov), le scene e i costumi di Aldo Buti, stupendo creatore, ma qui al Circo Massimo costretto alle animazioni digitali di Ignasi Monreal, con le belle luci di Vinicio Cheli. Protagonisti ospiti la magnifica e soavissima georgiana Maia Makhateli, e il moscovita dal raffinato e ineguagliabile portamento Semyon Chudin: indi étoiles, primi ballerini e solisti del Teatro dell’Opera e Corpo di Ballo, cui Pech – diversificandolo in gruppi – ha dato nuova e decisa importanza scenica.

Ma intervenendo pesantemente sulla drammaturgia, ne ha stravolto il senso: Benno, in un malcelato rapporto omosessuale col principe Siegfried, lo manipola, riassorbe in sé il ruolo del mago Rothbart (che scompare dalla scena), e alla fine del balletto, dà in mano al principe la sua balestra, spingendolo a uccidere il cigno bianco Odette. Questo stravolgimento gratuito non piace ai più: ma la bravura dei due ballerini (anche degli altri tutti) nello spettacolo odierno, ha ottenuto grandi applausi e boati di consenso.

Paola Pariset

Nell’immagine di copertina, una scena del Lago dei cigni al Circo Massimo

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