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Stockhausen, creatore della musica “puntuale”

di | 2021-01-08T20:24:02+01:00 10-1-2021 6:40|Sezione9, Spettacolo|0 Commenti

ROMA – Potevo avere circa 10 anni, quando mio padre, appena tornato dal suo lavoro giornalistico, stava cenando in casa da solo: nel vetro della finestrata aperta sul giardino, era inserito un piccolo ventilatore, perennemente in moto. Il suono ineguale, spesso aumentando sibilava. E mio padre quella sera disse: “Quando lo ascolto, mi sembra di sentire la voce di migliaia di uomini morti”. Alla mente della bambina il mistero non si spiegava, ma nemmeno svaniva il ricordo.

Passarono 50 anni e all’Auditorium Parco della Musica giunse, fra le aspettative di musicisti, intellettuali, amatori, il compositore tedesco ultrasettantenne della grande Avanguardia: Karlheinz Stockhausen, formatosi con Messiaen, con Milhaud, nei centri di Colonia e di Darmstad, serialista e creatore della musica “puntuale”. Tenne all’Accademia di S.Cecilia un concerto di musica elettronica ed elettroacustica nel 2006, venendo apprezzato anche per la sua finezza e il tratto amichevole, sì che l’istituzione Musica per Roma, dopo la vicinissima morte del compositore nel 2007, volle dar vita ad una sua opera fortemente sperimentale, a cui peraltro egli potè assistere solo una volta, per le difficoltà esecutive. Era “Helicopter Quartett”, eseguito al Parco della Musica con quattro elicotteri, in ognuno dei quali sedeva uno strumentista dello specializzato Quartetto Arditti, cui si aggiunse l’astronauta Umberto Guidoni per l’equilibrio generale, oltre a dei tecnici.

La musica doveva coniugarsi col rombo delle eliche e del motore (cosa alquanto sgradevole, in realtà), producendo quel che Stockhausen aveva più volte sognato – e lui ai sogni, all’universo siderale, e alla metafisica dava molto peso, specie verso la fine della vita. Alla gigantesca opera lirica multisensoriale “Licht”, che completò nel 2003 dopo 25 anni di lavoro, avendo realizzato in essa la descrizione dei sette giorni della settimana (ne risultarono 29 lunghi concerti), seguì “Klang”, con cui Stockhausen intendeva musicare tutte le ore del dì, del giorno e della notte, ma che non fu completato a causa della sua morte nel 2007.

Anche qui, come sugli elicotteri, il suono si fa disarmonico, sgradevole. Stockhausen non vi cerca la bellezza, ma la realtà, ossia la verità. I clangori, le esplosioni del Sole e dei corpi celesti, che arrivano a noi dopo migliaia di anni luce, sono per lui “armonia delle sfere”, e non a caso “Cosmic Pulses” è il brano della tredicesima ora di “Klang”. Quando egli eseguì altri pezzi delle sue opere a S.Cecilia, con i propri strumenti elettronici, dinanzi ai 24 spettri di cui il primo era il più denso e scuro, e l’ultimo il più trasparente, Stockhausen disse al pubblico presente in sala che, con l’orecchio interno, “egli sentiva vivere sette miliardi di uomini”. Questo rivelavano infatti anche i suoi occhi scuri, aperti e quasi sbarrati verso l’oltre: e le parole di mio padre mi furono subito chiare, nella sua forte percezione dell’lnfinito, pur attraverso strumenti diversi dal musicista.

Paola Pariset

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