VITERBO – Contro la bulimia dell’informazione, un movimento ci invita a rallentare. E, udite udite, a pensare. In un’epoca in cui la notifica detta i tempi e lo scroll è diventato un riflesso condizionato, parlare di “slow media” suona quasi come un atto rivoluzionario. Eppure, c’è chi lo fa e con serietà. Il movimento slow media nasce proprio per rispondere al sovraccarico informativo che caratterizza il nostro tempo, invitandoci a un consumo più consapevole, selettivo e, perché no, più umano dell’informazione.
Il paradosso dell’era digitale Viviamo nel periodo della storia con l’accesso più rapido, economico e vasto alla conoscenza. Ma, come spesso accade, tanta abbondanza può confondere più che chiarire. Notizie, post, breaking news, alert, newsletter: ogni giorno il nostro cervello viene inondato da un flusso continuo di contenuti, spesso non filtrati, talvolta imprecisi, quasi sempre consumati in fretta. Il risultato? Sovraccarico cognitivo, disinformazione, perdita di fiducia nei media, e quel fastidioso senso di ansia che accompagna il dover “restare aggiornati”. A chi non è mai capitato di leggere un titolo su Twitter e poi parlarne come se avesse letto l’intero articolo (spoiler: lo facciamo quasi tutti)? Ecco, in questa giungla informativa arriva, quasi in punta di piedi, il movimento slow media.
Più che un hashtag, una filosofia Il concetto di slow media prende ispirazione dallo slow food: se mangiare lentamente migliora la digestione, perché non dovrebbe valere lo stesso per l’informazione? Nato in Germania nel 2010, il manifesto degli slow media propone una serie di principi semplici quanto rivoluzionari: attenzione, qualità, approfondimento, sostenibilità. L’obiettivo non è solo rallentare, ma restituire valore al tempo che dedichiamo alla lettura, all’ascolto e alla visione. Significa dare priorità a contenuti ben scritti, ben documentati, frutto di un lavoro giornalistico accurato, e consumarli con la stessa cura con cui si sorseggia un buon vino (non come si butta giù un caffè al volo in stazione, insomma).
Come si pratica lo slow media Utilizzare questo metodo non richiede l’esilio digitale, ma una serie di piccoli accorgimenti che aiutano a “disintossicarsi” dalla frenesia informativa:
Scegliere le fonti: meglio poche ma buone Affidarsi a testate con una linea editoriale chiara, evitare siti sensazionalistici e riconoscere le trappole del clickbait (è un termine che definisce contenuti online, come titoli o articoli, progettati per attirare il maggior numero di clic possibile).
Darsi un tempo: non tutto va letto subito Ritagliarsi momenti dedicati alla lettura, come si fa con un buon libro. (Sì, anche nel weekend sotto una coperta, con tè e biscotti. Slow, appunto).
Consumare contenuti lunghi Leggere articoli di fondo, inchieste, reportage. Guardare documentari invece di reels da 8 secondi con gattini che fanno yoga.
Lasciare sedimentare Dopo aver letto, non correre a commentare. Prendersi il tempo per riflettere, formarsi un’opinione. E magari parlarne con qualcuno a voce, come si faceva una volta (lo chiamavano dialogo, sembra).
Perché ne abbiamo bisogno (sul serio) L’informazione è una materia delicata: modella la nostra percezione del mondo, orienta scelte e opinioni, incide sul modo in cui viviamo. Trattarla come fast food non è solo pericoloso, è ingiusto. Slow media non è nostalgia per tempi andati, ma una proposta concreta per affrontare il presente con strumenti migliori. In un contesto in cui la viralità spesso conta più della verità, tornare a leggere con lentezza è un atto di resistenza. Un modo per sottrarci alla logica del “tutto e subito”, del “condividi prima di capire”. È un invito a riappropriarci della nostra attenzione, oggi più contesa di un parcheggio libero in centro il sabato pomeriggio.
Una provocazione finale (ma non troppo) La prossima volta che vi sentite sopraffatti dalle notifiche o state per aprire l’ennesimo link condiviso su WhatsApp senza nemmeno guardare da dove viene… Fate una pausa. Respirate. Chiedetevi: “Mi serve davvero questa informazione? O sto solo rispondendo a un impulso?”. E se la risposta è “no”, concedetevi il lusso di non sapere tutto, subito. Perché, parafrasando Umberto Eco, chi legge due articoli al giorno con attenzione capisce più del mondo di chi ne scrolla cinquanta senza fermarsi. Slow is the new smart.
Alessia Latini
PS. Se siete arrivati fin qui, complimenti: siete già un po’ slow. Ma non temete, nessuno vi giudicherà se tra cinque minuti tornerete su Instagram. L’importante è che lo facciate con consapevolezza. Magari dopo aver messo in pausa le notifiche e preparato un caffè (da gustare lentamente, ça va sans dire).
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