La corsa per la conquista della Luna è ricominciata e stavolta l’avversario degli Stati Uniti (primi e, finora, unici a mandare un uomo a calpestare il suolo del satellite più amato) non è più l’Unione Sovietica, ma la Cina, la più grande potenza mondiale, l’unica che spaventa davvero gli americani e il comandante che temporaneamente li guida.
La notizia degli ultimi giorni è che la Nasa (l’ente spaziale a stelle e strisce) sta serrando i tempi per tornare sulla Luna prima della Cina, tanto da anticipare già a febbraio il lancio (finora previsto entro aprile 2026) della missione Artemis II, che vedrà quattro astronauti volare intorno alla Luna per preparare il successivo ritorno sulla sua superficie con l’allunaggio della missione Artemis III. L’annuncio è stato dato in una conferenza stampa al Johnson Space Center di Houston. Se tutto va bene perché è evidente che sulla data del decollo potrebbero influire le tensioni internazionali, tutt’altro che sopite.
Vien da chiedersi come mai il presidente Trump che sta tagliando a destra e a manca spese da lui considerate “superflue”, abbia invece confermato, se non addirittura incrementato, i fondi per le missioni spaziali che, come si sa, costano parecchi soldi. Le motivazioni sono di varia natura, soprattutto geopolitica ed economica. Su tutte, però, sembrano prevalere quelle di carattere psicologico. Il recente sfoggio di potenza militare messo in mostra durante la parata della vittoria in piazza Tienanmen a Pechino ha lasciato il segno: una dimostrazione di solidità ai più alti livelli tecnologici. Senza dire che al fianco di Xi Jinping c’erano Putin e Modi, il presidente dell’India, la nazione più popolosa al mondo. Quindi, un eventuale asse che coinvolga questi tre colossi sarebbe più che deleterio sulle mire egemoniche degli Usa.
Bisognava dunque dare una risposta e perciò si è scelto di fornire un nuovo impulso al programma spaziale per dimostrare una superiorità in quel settore e anche per assicurarsi futuri vantaggi nelle esplorazioni di altri pianeti con chissà quali conseguenze sul piano dello sfruttamento delle risorse. Ufficialmente, però, la decisione di anticipare la missione sarebbe stata presa dai quattro astronauti che saliranno a bordo: il comandante Reid Wiseman, il pilota Victor Glover e gli specialisti di missione Christina Koch e Jeremy Hansen (i primi tre della Nasa, mentre il quarto rappresenta l’Agenzia spaziale canadese). La decisione, per nulla facile, è stata presa in una sorta di conclave: “Ci siamo praticamente chiusi in una stanza finché non siamo arrivati a una soluzione condivisa”, hanno raccontato. Spiegazione decisamente poco credibile…
Come che sia, in febbraio si parte. I quattro hanno scelto di chiamare Integrity la capsula Orion per Artemis II. È infatti tradizione che il nome di un nuovo veicolo spaziale per il volo umano venga scelto dai primi astronauti che vi saliranno a bordo. “Il nome Integrity incarna i principi di fiducia, rispetto, onestà e umiltà che caratterizzano l’equipaggio e i numerosi ingegneri, tecnici, scienziati, pianificatori e sognatori, necessari per il successo della missione – spiega la Nasa in una nota – Il nome è anche un omaggio all’ampio sforzo integrato, dagli oltre 300.000 componenti del veicolo spaziale alle migliaia di persone in tutto il mondo che devono unirsi per viaggiare verso la Luna e tornare, ispirare il mondo e tracciare la rotta per una presenza a lungo termine sulla Luna”. 
Se la campagna di test si svolgerà senza intoppi e offrirà tutte le garanzie di sicurezza necessarie, la prima finestra di lancio utile potrebbe aprirsi già il 5 febbraio, spiega Lakiesha Hawkins, vice amministratore associato della Direzione per lo sviluppo dei sistemi di esplorazione della Nasa. Pur riconoscendo le forti pressioni geopolitiche a cui è sottoposta l’agenzia spaziale statunitense, Hawkins ha sottolineato che la priorità resta la sicurezza degli uomini a bordo. La missione, che durerà una decina di giorni, sarà la prima con equipaggio a raggiungere la Luna dai tempi dell’Apollo 17 (1972).

I primi uomini sulla Luna
Il programma prevede che la capsula Orion completi un’orbita attorno alla Terra, o anche due se necessario per effettuare tutti i controlli. Il passaggio ravvicinato alla Luna durerà circa due ore: la minima distanza che sarà raggiunta verrà stabilita quando si conoscerà la data precisa del lancio della missione. Il rientro sulla Terra è previsto seguendo una traiettoria di ritorno libero, senza bisogno di accensioni propulsive. La capsula con l’equipaggio frenata dai paracadute si tufferà infine nel Pacifico, vicino alla costa di San Diego, dove troverà ad attenderla una nave con un team per il recupero. Questa missione aprirà la strada ad Artemis III, che porterà gli astronauti ad allunare vicino al polo sud nel 2027.
Insomma, stanno per tornare i tempi dell’Apollo 11, la missione spaziale che portò i primi uomini sulla Luna, Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Il 20 luglio 1969 avvenne l’allunaggio del modulo Eagle. Il 21 luglio, Armstrong fu il primo uomo a mettere piede sul suolo lunare; Aldrin lo raggiunse 19 minuti più tardi. I due trascorsero circa due ore e un quarto a esplorare il sito chiamato Statio Tranquillitatis e raccolsero 21,5 kg di materiale lunare che avrebbero riportato sulla Terra. Il terzo membro dell’equipaggio, Michael Collins, pilota del modulo di comando, rimase in orbita lunare mentre gli altri due erano sulla superficie; 21,5 ore dopo l’allunaggio i tre si riunirono e Collins pilotò il modulo di comando Columbia nella traiettoria di ritorno verso la Terra. La missione terminò il 24 luglio, con l’ammaraggio nell’oceano Pacifico. Fu una notte magica che tutti coloro che c’erano ricordano con immutata emozione. Che vorremmo riprovare ancora, chiunque sia il primo a rifarlo.
Buona domenica.
Nell’immagine di copertina, i quattro astronauti della missione Artemis II

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