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Schiavi di un selfie carico di solitudine

di | 2025-02-21T18:06:24+01:00 23-2-2025 0:30|Attualità, Sezione 7|0 Commenti

NAPOLI – Si direbbe che siamo alle solite, ma non è così. C’è purtroppo un fenomeno che aumenta in maniera sconsiderata ed è l’essere totalmente schiavi di cellulari, selfie, like, app pericolose con conseguenze disastrose sulla psiche delle persone e soprattutto dei ragazzi e, a volte, anche con effetti tragici. È accaduto un po’ di tempo fa quando un povero ragazzo è rimasto vittima di un selfie che gli ha fatto perdere la vita. Mario (nome di fantasia) quella morte non se la cercava di certo ma è anche vero che salire sul tetto del centro commerciale per “riprendersi” in un gesto di super uomo questo fa pensare.

Da tempo lui e i suoi amici si sentivano superiori, ben oltre i comuni mortali che fanno la spesa, lottano e combattono per finire i compiti. Loro no. Combattevano contro la morte mettendosi alla pari, sfidandola nei gesti che sempre più diffusamente coinvolgono i più giovani: l’immortalarsi nel gesto più innocente e apparentemente innocuo ma che nasconde profonde lacerazioni di solitudine. La voglia di ergersi a capo della vita, il ritenersi immortali, invincibili… forse soltanto profondamente soli.

Viene da chiedersi perché cercare affannosamente certe modalità così pericolose solo per poterle raccontare ai compagni, farle vedere come atti da super-ragazzi ma che poi finiscono dannatamente male. Una generazione di adolescenti che ha desiderio di mostrare il proprio valore, mostrare la propria capacità di scherzare con l’alcool, la droga, la morte. E contro questo fuoco tenta di vincere, sempre e comunque. Al di là del possibile. Purtroppo Mario non aveva messo in conto la condotta dell’aria condizionata: forse non l’aveva vista, forse non le aveva dato il giusto, brutale valore.

È bastato un attimo, un piede messo male, l’equilibrio che viene meno e una vita che vola giù per quaranta metri. E finisce. Il Papa qualche giorno fa l’ha chiamato “disoccupazione”, dal latino “essere lontani dal movimento con cui un uomo si appropria del proprio posto, del proprio pezzo di realtà”: è la piaga e il dramma del nostro tempo, è la distanza tra ciò che sentiamo di noi, tra la nostra autocoscienza, e il nostro desiderio di esserci, di meritare di vivere.

E forse è proprio il caso di dire che questa sindrome da like l’hanno innescata proprio i grandi, riempiendoli di attenzioni, sommergendoli di “mi piace” nella tenera età, senza mai lasciarli stare da soli ad organizzare la propria solitudine, nell’educativo istante in cui non hai nulla da fare e la tua solitudine non viene riempita da like. Si vive anche annoiandosi, si vive e s’impara molto di più lavorando sulla propria mancanza, sulla propria pigrizia, sull’essere soli. Il fatto è che con l’adolescenza quegli istanti arrivano tutti, con gli arretrati, e non ci capisci più nulla: vuoi solo che qualcuno torni a darti il like. Mario questo cercava.

Giudicare gli adolescenti adesso è facile, scandalizzarsi non costa nulla, è perfino invitante, alla moda sparare sentenze. Del resto non c’è cosa più facile che educare i figli… degli altri. Ma nessuno ha voglia seriamente di confrontarsi con quella domanda di bene, con quella mendicanza di vita che anche Mario cercava. E questi ragazzi rimangono lì, soli, svalutati da chi aspetta che cambino e che diventino come tutti gli altri. Il fatto è che al cuore urge una risposta, non può attendere. Mario voleva esserci come tutti i suoi coetanei. E in mancanza di un volto ha scelto un tetto, un centro commerciale, un luogo dove poteva dire: io ci sono stato. Cercare il colpevole? Non è questo il momento. Di sicuro lascia a bocca aperta la richiesta del padre di Mario che cerca giustizia senza neanche interrogarsi sui motivi che hanno spinto il figlio a salire sul tetto. Eppure nei tempi della grande assenza basterebbe poco, basterebbe tornare ad essere presenti. Per tutti loro, per tutti i nostri figli, per noi.

Innocenzo Calzone

 

Giornalista pubblicista, architetto e insegnante di Arte e Immagine alla Scuola Secondaria di I grado presso l’Istituto Comprensivo “A. Ristori” di Napoli. Ha condotto per più di 13 anni il giornale d’Istituto “Ristoriamoci”. Partecipa e promuove attività culturali con l’associazione “Giovanni Marco Calzone” organizzando incontri e iniziative a carattere sociale e di solidarietà. Svolge attività di volontariato nel centro storico di Napoli con attività di doposcuola per ragazzi bisognosi; collabora con il Banco Alimentare per sostenere famiglie in difficoltà. Appassionato di arte, calcio e musica rock.

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