“Come faccio io, totalmente immobile, a bere, a mangiare, ad assumere farmaci nelle 24 ore, poiché necessito di antiepilettici anche la notte? Chi mi schiaccia la pancia fino a frullarla per riuscire ad espletare i bisogni fisiologici? Chi mi lava? Chi mi cambia i presidi per l’incontinenza? Chi si spezza la schiena per riuscire a piegarmi anche solo una gamba o per mettermi a letto o a sistemarmi sulla carrozzina? Chi mi accende il computer per poter accendere i comandi vocali indispensabili per lavorare? Evidentemente io sono qui ‘a pettinare le bambole’…”.

Martina Oppelli
Le parole di Martina Oppelli (49 anni) non hanno bisogno di molti commenti: è affetta da sclerosi multipla secondaria progressiva. I primi sintomi della malattia risalgono alla fine degli anni Novanta. Nell’aprile 2002, a soli 28 anni, a Martina viene diagnosticata la malattia. Attualmente, la sua condizione è quella di sclerosi multipla evoluta con gravissima limitazione motoria con dolori e spasmi diffusi poco controllati dalla terapia che la rendono totalmente dipendente da terzi per la conduzione di ogni attività.
Una situazione più che complessa e, purtroppo, irreversibile. Per queste ragioni e per la progressività di un male che non perdona, Martina nell’agosto 2023 invia alla propria ASL di competenza (l’ASUGI, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina), la richiesta di verifica delle sue condizioni per accedere alla morte assistita. Viene visitata dalla commissione medica multidisciplinare e, dopo numerosi solleciti presentati da lei stessa e dal collegio difensivo (coordinato da Filomena Gallo e composto anche da Angioletto Calandrini, Francesca Re e Alessia Cicatelli), riceve la risposta: ladomanda non viene accolta. La ASUGI comunica di non poter accogliere la richiesta perché non in possesso di tutti i requisiti previsti dalla sentenza n. 242/2019. In particolare, ritiene non soddisfatto il requisito dei trattamenti di sostegno vitale.
Ma la situazione è già ampiamente compromessa perché Martina Oppelli è totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone, senza il cui aiuto non potrebbe svolgere nessuna funzione vitale e quotidiana, assume massicce dosi di farmaci e utilizza la macchina della tosse, senza la quale rischierebbe in ogni momento di morire soffocata. Alla richiesta di immediata rivalutazione delle sue condizioni di salute e di individuazione del farmaco letale e della metodica di sua autosomministrazione, ASUGI si oppone nuovamente e ciò induce i legali della donna a presentare ricorso d’urgenza davanti al Tribunale di Trieste, con cui chiede che la ASL venga condannata alla rivalutazione del requisito del “trattamento di sostegno vitale”. Era febbraio del 2024.
In particolare, si sottolinea proprio la presenza del requisito del “trattamento di sostegno vitale” in quanto la signora Oppelli, stante la completa impossibilità di movimento, non è in grado di provvedere a nessun bisogno primario, assume una corposa terapia farmacologica in assenza della quale non potrebbe sopravvivere e utilizza costantemente la macchina per la tosse, strumento vitale per la sua sopravvivenza.A luglio dello scorso anno, il Tribunale di Trieste accoglie il ricorso e condanna la ASl a rivalutare le condizioni della donna, che nel frattempo erano ulteriormente peggiorate. La risposta di ASUGI, sulla base delle valutazioni NEPC (Nucleo Etico per la Pratica Clinica), è ancora una volta negativa: non ci sono le condizioni indispensabili per procedere.
Qualche giorno fa, a seguito di un altro intervento dei legali di Martina, il Tribunale di Trieste ha rigettato la richiesta di ordinare all’Azienda sanitaria universitaria “Giuliano Isontina” di accedere alla morte assistita. A darne comunicazione l’Associazione Luca Coscioni (che segue il caso sin dalle prime battute), precisando che la decisione dei giudici è stata presa sulla scorta di una valutazione effettuata da medici specializzati. Dunque, “secondo i medici e il Tribunale, la donna non dipende da trattamenti di sostegno vitale quindi non ha diritto ad accedere al ‘suicidio assistito’ in Italia”.
Angosciante il commento di Martina: “Avendo una invalidità certificata del 100 per cento con gravità riconosciuta ai sensi della legge 104, mi chiedo dunque se le commissioni esaminatrici non si siano sbagliate…”. “Il difensore dell’azienda sanitaria, nell’udienza di gennaio, ha evidenziato che la sentenza 135/2024 della Consulta, essendo di rigetto, non è vincolante per i medici che hanno eseguito le nuove verifiche della condizione di Martina – aggiunge l’avvocato Filomena Gallo, difensore della signora Orpelli -. E’ per questo che alla Corte costituzionale abbiamo chiesto anche di ribadire l’interpretazione del concetto di trattamento di sostegno vitale ai fini dell’accesso al suicidio assistito con una sentenza di accoglimento, che possa vincolare aziende sanitarie e tribunali al suo rispetto e nel caso al rispetto della scelta di Martina”.
La cronaca si ferma qui, per ora. Il tema è evidentemente complesso e soggetto ad ogni forma di commento. Resta la profonda amarezza nei riguardi di una donna che, allo stremo e anche oltre delle forze, chiede di essere aiutata a morire perché la sua non si può certo definire vita. E chi si avvicina a certe questioni non può che provare soltanto una profonda tristezza. Basta leggere le parole di Martina: “Non avrei mai voluto prendere questa decisione, determinata da anni di sofferenza e da una patologia che non può essere curata e che per me è come una spada di Damocle. Convivo con questi sintomi da un quarto di secolo e l’ho sempre fatto con dignità, con speranza, perché amo la vita, che è stupenda e va rispettata. Ma sono arrivata a un punto in cui il dolore è devastante: io ormai muovo solo la testa, riesco ancora a lavorare tramite i comandi vocali, ma la fatica è tanta e non ce la faccio più. La mia non è una scelta di disperazione, ma una scelta d’amore verso la vita che ho avuto”.
Buona domenica.
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