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Rispetto è anche l’amore di un padre

di | 2024-12-20T18:41:30+01:00 22-12-2024 0:01|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

MILANO – Rispetto è la parola dell’anno, secondo l’Enciclopedia Treccani, “per la sua estrema attualità e rilevanza sociale”; le ulteriori argomentazioni presenti, nel comunicato stampa dell’illustre vocabolario, sottolineano che essa dovrebbe essere posta al centro di un vastissimo spettro di situazioni. Ogni progettualità e relazionalità pedagogica, lavorativa, politica, sociale dovrebbe fondarsi su questo sentimento “che porta a riconoscere i diritti, il decoro, la dignità e la personalità stessa di qualcuno, e quindi ad astenersi da ogni manifestazione che possa offenderli”.

Il termine, dal latino respectus (guardare indietro e – in senso figurato – avere riguardo), è presente in tantissime espressioni della lingua italiane sia in accezione positiva che negativa, si pensi soltanto al modo di dire “con tutto il rispetto” che finisce poi per dare liceità a qualsiasi improperio o peggio “agli uomini di rispetto”, sinonimo di affiliati mafiosi. Sarebbe bello se tanta poliedricità semantica fosse associata soprattutto ad una parola, altrettanto abusata, quale amore. Da questi sentimenti è connotata la dichiarazione che Gino Cecchettin ha rilasciato dopo la lettura della sentenza di condanna all’ergastolo per Filippo Turetta, ex fidanzato ed assassino di sua figlia Giulia: “Abbiamo perso tutti, come società. Nessuno mi ridarà indietro Giulia… E’ chiaro che è stata fatta giustizia, ma dovremmo fare di più come esseri umani… Come essere umano mi sento sconfitto, come papà non è cambiato niente rispetto a ieri o a un anno fa”.

Gino Cecchettin, il papà di Giulia

Nessuno dovrebbe rimanere insensibile di fronte ad un dolore così lacerante che non può essere lenito neanche quando “giustizia è fatta”. Impietose ed irrispettose, pertanto, le accuse rivolte a questo genitore di aver ricercato volutamente una sovraesposizione mediatica per fini personali. In quell’omicidio compiuto, in quella condanna comminata dovremmo riconoscere la sconfitta della società intera di fronte all’ennesimo atroce episodio di violenza di genere, espressione di una concezione di mondo che non ha alla base nessun rispetto. Non ha molto senso, pertanto, continuare a perdersi in discussioni di “dotta filologia” sull’uso preponderante di sostantivi declinati solo al maschile, sull’offensività presunta o reale insita in alcuni termini, quando al contrario andrebbe esaminato con attenzione il processo di degrado culturale che caratterizza la nostra società ormai già da qualche decennio ed è causa fondamentale di una deriva sempre più pericolosa.

Gli ultimi dati del rapporto del Censis attestano che gli italiani e le italiane sono ignoranti, dealfabetizzati: non leggono, non sono in grado di comprendere i testi, non sanno far di conto. Altrettanto sconfortanti i risultati dell’indagine sulla valutazione delle competenze degli adulti (Survey of Adult Skills) realizzata nell’ambito del programma Ocse. Il termine ignoranza va recepito, più che mai in questo caso, nel suo significato letterale, cioè quello di non conoscenza, per così dire, delle “cose” del mondo. Certo colpisce, delude, ma non inquieta la mancata conoscenza della data di eventi storici (il 30,3% non conosce l’anno dell’Unità d’Italia, il 28,8% ignora quando è entrata in vigore la Costituzione) o del personaggio illustre per cui Gabriele D’Annunzio sarebbe l’autore de L’infinito (41,1%) ed Eugenio Montale potrebbe essere stato un autorevole presidente del Consiglio dei ministri degli anni cinquanta (35,1%); anzi è proprio per questo che la cultura non può e non deve essere superficialmente assimilata alla vacuità di un’erudizione mnemonica, utile per qualche show televisivo.

In definitiva, comunque la si voglia vedere, siamo i più ignoranti d’Europa e i dodicesimi nel mondo, benché in Italia gli analfabeti propriamente detti siano ormai un’esigua minoranza (260.000) ed i laureati siano aumentati fino a 8,4 milioni, ovvero il 18,4% della popolazione. Deve, quindi, farci riflettere e preoccupare l’ignoranza intesa come mancata consapevolezza dei propri diritti e doveri, che finirà col costituire, come si legge ancora nel rapporto del Censis del dicembre 2024 “una grande minaccia anche per la democrazia se per i cittadini diventa difficile decodificare le proposte politiche, riconoscendo quelle fondate su presupposti falsi o con fini manipolatori”.

Adele Reale

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