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Quella diga che cancellò la storia

di | 2021-11-04T17:59:23+01:00 7-11-2021 6:00|Sezione 1, Viaggi|0 Commenti

PETRELLA SALTO (Rieti) – Il livello delle acque dei laghi Salto e Turano in questo periodo si è notevolmente abbassato, non solo per la produzione di energia elettrica e le poche piogge, ma soprattutto perché sono in corso interventi di manutenzione al ponte di Fiumata sul lago del Salto e a quello di Castel di Tora sul lago del Turano. Sono gli unici ponti, i più lunghi, la cui manutenzione è a carico della società che detiene la concessione (la manutenzione degli altri ponti è a carico della Provincia). La società concessionaria Erg ha recentemente ceduto la concessione all’Enel, che ne fu la prima detentrice quando vennero costruite le due dighe nel 1940. Il ritirarsi delle acque ha fatto riemergere una necropoli a Castel di Tora e sul lago del Salto i resti dei paesi sommersi ricostruiti a monte: Sant’Ippolito, Fiumata, Teglieto, Borgo San Pietro e l’abitato antico sorto intorno ai Balzi di Santa Lucia.

Tanta storia venne cancellata in pochi giorni appena vennero chiuse le paratie della diga: i ponticelli in legno, i mulini, le chiese rupestri, i monasteri, i vecchi tratturi che ancora si intravedono con l’abbassarsi delle acque. Sommersi dalle acque restano i mulini, orti e vigneti, i ponticelli in legno e pietra, le case più in basso nella valle, dove scorreva il fiume Salto. Proprio a ridosso della diga riemerge la storica Rocca Salto, lungo il perimetro del lago riemergono i resti delle case, le barche, lasciate incustodite quando le acque erano alte, sono rimaste appese sui calanchi e altre sono all’asciutto. Fino alla fine degli anni ’80 era possibile vedere ancora la parte alta del campanile del Monastero delle Suore di Santa Filippa Mareri a Borgo San Pietro, risalente al 1200, che venne abbattuto perché pericoloso per bagnanti e pescatori. Nel nuovo Monastero un piccolo museo con testimonianze, documenti, oggetti di vita monastica, libri di farmacia, foto e tutto ciò che le suore riuscirono a salvare. All’interno della chiesa si apre l’ingresso della cappella che conserva le spoglie della fondatrice, la baronessa Filippa Mareri, fedelmente ricostruita con gli affreschi originali, unica testimonianza di quello che fu l’antico Monastero.

Quelli che sembrano sassi sono in realtà i resti delle case, anch’esse spianate, ma alcune mura sono ancora ben visibili, come sono ben visibili, tra l’erba, i confini delle stanze, ancora ben delineati dalle pietre. Una visita in questi luoghi è particolarmente suggestiva, soprattutto se si conosce la storia. Il territorio di Rocca Salto e Santa Lucia, nel Medioevo, era ambito per la presenza di importanti mulini e gualchiere baronali, la cui attività costituiva uno dei principali cespiti della rendita signorile: un monopolio imposto sulla molitura dei cereali, ma anche per la preparazione dei panni di lana. I Mareri, che furono titolari anche di Rocca Salto, vincolarono i vassalli all’uso dei loro mulini, trattenendo una quota del macinato come pagamento del servizio.

Come riporta lo storico Roberto Marinelli, già negli anni ’20 la località dei Balzi di Santa Lucia (a quell’epoca ancora nel territorio della Provincia dell’Aquila, nel Circondario di Città Ducale), venne indicata nelle relazioni tecniche dell’ingegnere perugino Guido Rimini per la costruzione della diga: “Le rocce della gola sono di calcare compattissimo e durissimo, ideale, evidentemente, per sostenere una diga in cemento armato. Consente un’apertura in basso di circa venti metri che al massimo, a sessanta metri di altezza, si amplierebbe fino a centocinquanta metri”. La diga è alta 100 metri e fu impostata tra i Balzi di Santa Lucia e le rocce. La rocca, di cui riemergono i resti della torre, controllava l’angusto passaggio e al di sotto dei balzi, in una grotta, c’era la chiesa di Santa Lucia, che ha dato il nome al luogo, cancellata dalle fondazioni della diga. La chiesa di Santa Lucia ai Balzi e la Rocca Salto sono indicate nella copia trecentesca del Registro delle chiese della diocesi di Rieti del 1252.

Quella diga che cancellò Varie nei secoli le vicende e le contese tra l’abate di San Salvatore Maggiore e il vescovo di Rieti, la Rocca risulta tra i castelli abbandonati dell’Abbazia nel disegno del portale nel 1506. Fu indicata tra i feudi abruzzesi ed è nominata anche negli atti del Giustizierato d’Abruzzo, uno dei distretti amministrativi del Regno di Sicilia, istituito nel 1233 da Federico II e mantenuto, con successive modifiche territoriali, dal regno di Carlo I d’Angiò. Negli atti del 1271 risulta devoluta, insieme a Rocca Berardi, a Giovanni dei Mareri. I Mareri vincolarono i vassalli all’uso dei loro mulini, trattenendo una quota del macinato come pagamento del servizio.

Tra Settecento e Ottocento tutta l’area di pertinenza dell’abbazia di San Salvatore Maggiore, di là dal Fiume Salto, sulla sponda destra, continuò ad essere contesa, come nel Medioevo, con il vescovo di Rieti e sempre tra Settecento e Ottocento l’area divenne addirittura oggetto di una crisi diplomatica internazionale, tra lo Stato pontificio ed il Regno di Napoli. La Società Terni, che realizzò la diga, utilizzando finanziamenti pubblici e investimenti bancari, dette seguito alle richieste degli operai e della popolazione, che chiedevano la ricostruzione della chiesa, in quanto ancora esistente al momento della sommersione. La Società Terni fu quindi obbligata a ricostruirla, come il resto del piccolo insediamento sommerso dalle acque. La cappella dedicata a Santa Lucia, si trova oggi all’interno di una delle cave abbandonate, servite per la produzione del calcestruzzo per la costruzione della diga. Ogni anno la statua di Santa Lucia viene portata in processione e una piccola statua e una croce sono sulla cima dei resti della torre della Rocca.

Francesca Sammarco

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