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Quei cippi di confine che fanno la storia

di | 2022-10-21T23:15:05+02:00 23-10-2022 6:30|Attualità, Sezione 7|0 Commenti

CONCERVIANO (Rieti)  – Il Complesso monumentale di San Salvatore Maggiore sul monte Letenano era una abbazia benedettina, fondata nel 735 d.C da monaci dell’abbazia di Farfa. Fu un potente monastero che, soprattutto nel periodo carolingio, venne insignito del titolo di “imperiale” per volere di Carlo Magno. Fondato sui resti di una preesistente villa romana tra Concerviano e Longone Sabino, allargò la propria signoria territoriale estendendo i suoi domini dalla Valle del Salto e del Turano fino a Roma. Il sindaco di Concerviano Damiano Buzzi, una quarantina di anni fa, ebbe la felice intuizione di acquisirla nel patrimonio comunale, effettuando i primi restauri, proseguiti dal figlio Pierluigi Buzzi, attuale sindaco, che vuole rilanciare culturalmente la struttura, nello spirito benedettino, che ancora oggi aleggia intorno all’Abbazia.

Davanti all’ingresso c’è un angolo con erba alta, appositamente lasciata per il benessere delle api, a suggellare il rispetto della natura, l’importanza delle erbe e dell’Hortus Simplicium dei benedettini. Non poteva esserci sede migliore per tenere il convegno “I confini Stato/Regno nella provincia di Rieti”, organizzato dal comitato reatino dell’Istituto per la storia del Risorgimento Italiano (diretto da Gianfranco Paris), il comune di Concerviano, l’associazione culturale reatina Domenico Petrini, la Sezione di Rieti della Associazione Nazionale Reduci Garibaldini, la Biblioteca Museo “Angelo di Mario” di Vallecupola. Anna Maria Buzzi è il commissario governativo straordinario dell’Istituto per la Storia del Risorgimento, la cui sede è a Roma nel complesso monumentale conosciuto come Altare della Patria, Monumento al Milite ignoto, Vittoriano (e che i romani chiamano “la macchina da scrivere” per la sua forma).

Anna Maria Buzzi, commissario straordinario dell’Istituto per il Risorgimento

All’interno c’è un immenso patrimonio culturale con un milione di documenti, il museo della storia del risorgimento con 17 documenti unici, il valore stimato del patrimonio è di oltre 100 milioni di euro, un ascensore sale in cima al monumento con una vista unica sul centro di Roma. L’Istituto ha 65 comitati territoriali e Anna Maria Buzzi proporrà al Ministero della cultura di inglobarli negli Archivi di Stato. Sulle ricerche dei cippi di confine poté più la curiosità dell’escursionista che quella dello storico, sopraggiunta in un secondo momento, per dare risposte a quelle colonne di pietra rinvenute nei boschi, tratturi, crinali di montagna e c’è un turismo escursionistico alla ricerca dei cippi, per esempio la cartina dei sentieri del Cai dei Monti reatini (lemiepasseggiate.it).

Il sindaco di Concerviano Pierluigi Buzzi

Uno di questi escursionisti è Antonio Farinelli che ha inventariato quel che resta dei “testimoni di pietra” che segnavano il confine tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie. Il confine, dal Tirreno all’Adriatico, partiva da Fondi, Terracina, fino a Martinsicuro, era lungo 395 km. e i cippi portavano inciso il giglio borbonico per il Regno delle Due Sicilie e le chiavi di San Pietro, per lo Stato Pontificio. Sono alti un metro con un basamento quadrato, una colonnina di diametro variabile da trentacinque a cinquanta centimetri (alcuni erano ritti conficcati nel terreno, altri inclinati e altri atterrati). La cosa curiosa è che i confini furono delimitati solo dopo la sottoscrizione a Roma nel 1840 del trattato dei confini, appena una ventina di anni prima che finisse il Regno dei Borboni, a causa di controversie secolari tra i due Stati, che non si fidavano dei rispettivi tecnici, mentre lungo la linea di confine fioccavano conflitti sulle proprietà terriere e i briganti avevano spesso la meglio.

Nel 1793 ci provò Ferdinando IV con triangolazioni topografiche, ma mancava il permesso pontificio. Poi il congresso di Vienna nel 1819, i moti rivoluzionari nel 1831 e il colera nel 1836 rallentarono le decisioni. La numerazione cronologica iniziava con il n. 1 (presso la foce del fiume Canneto, tra Fondi e Terracina) e finiva con il n. 649 (quasi alla foce del fiume Tronto, nelle immediate vicinanze del ponte tra Porto d’Ascoli nelle Marche e Martinsicuro in Abruzzo), ma in totale sono 686: molti venivano identificati con lo stesso numero e per differenziarli veniva aggiunta una lettera a fianco del numero. Lungo il confine furono istituite le dogane e i dazi con cui i due Stati rispettivamente avvantaggiavano le proprie attività (cartarie, spille, tessuti, erbe tintorie).

Alla base dei cippi vennero poste delle medaglie di lega di nessun valore, ma che furono la causa, al di là di atti di vandalismo, di predazioni per recuperarle (ne restano integri 54). Il Reatino e in particolare Cittaducale, Valle del Turano, Cicolano erano territori di confine (una dogana era a Concerviano) e questo ha segnato anche la cultura dei popoli, come ha evidenziato Emanuela Rizza che ha illustrato il significato culturale degli insediamenti nei territori di confine, le diversità culturali, la poca partecipazione sociale e politica e la diversità odierna tra le grandi città e le aree interne, soprattutto se lungo linee di confine. E poi arrivò Garibaldi, che consegnò il Regno dei Borboni ai Piemontesi. Sul brigantaggio che ne conseguì ha relazionato Giuseppe Ranucci.

I Borboni concedevano gli usi civici, i contadini credettero alla promessa delle terre, la riforma agraria non venne fatta, venne istituita la Guardia Nazionale per sopire le rivolte del popolo e del ceto rurale. Nel Cicolano la rivolta iniziò a Brusciano di Fiamignano. Prima del 1863 erano appoggiati dallo Stato Pontificio, e quindi erano briganti politici, dopo diventarono briganti fuorilegge, perché lo Stato Pontificio fece un passo indietro. Più che briganti, dovrebbero essere definiti “insorgenti”. I Piemontesi imposero nuove tasse e la leva obbligatoria, tolsero i dazi a vantaggio delle proprie attività, impoverendo l’artigianato e le attività dei due Stati. Con la chiusura delle dogane a seguito dell’istituzione del Regno d’Italia, i dipendenti furono licenziati e le famiglie restarono senza sostegno.

Il brigante del Cicolano Berardino Viola (morto nel 1906 a Castel Sant’Angelo a Roma) divenne brigante proprio perché il padre, dipendente delle dogane, restò senza lavoro. Luciano Bonventre, partendo dalle fonti catastali, ha spiegato come per essere definiti “proprietari” e poter partecipare anche alla vita politica servisse una rendita annua di 24 ducati, successivamente scesa a 12, ma l’economa era di sussistenza, l’allevamento transumante e pochi erano i capifamiglia che potevano definirsi proprietari e partecipare attivamente alle scelte politiche. E da allora, ahimé, non è cambiato poi molto.

Francesca Sammarco

Nell’immagine di copertina, l’Abbazia di San Salvatore Maggiore

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