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“Pronto, chi parla?”. E risponde l’intelligenza artificiale

di | 2025-07-03T19:06:02+02:00 6-7-2025 0:25|Attualità, Sezione 6|0 Commenti

VITERBO – La telefonata è arrivata in un giorno qualunque. Dall’altra parte, una voce femminile perfettamente modulata, accento italiano neutro, tono cordiale. “Buongiorno, sono un’assistente vocale di una startup, posso farle qualche domanda?”. Educata, chiara, nulla di diverso da una centralinista esperta. Ma alla prima risposta dell’interlocutrice – in questo caso, la sottoscritta – qualcosa si è incrinato. La replica era completamente fuori contesto. Una frase preconfezionata, svuotata di senso rispetto alla domanda appena posta.

Lì ho capito: non stavo parlando con un essere umano, ma con una voce generata da un’intelligenza artificiale, probabilmente su base registrata. Eppure, la sensazione era stranamente familiare. Talmente ben costruita da lasciarmi nel dubbio per diversi secondi. Lo aveva detto all’inizio, certo – che era un’IA – ma è bastato quel secondo di distrazione per dimenticarlo. Per crederci. Per interagire.

Quando il telemarketing parla robot Le chiamate automatizzate non sono certo una novità. Ma ciò che sta cambiando è il grado di realismo e di sofisticazione delle voci sintetiche. Non più toni meccanici e metallici alla “Cortana nel 2003”, ma veri e propri “avatar vocali” che emulano l’intonazione, la cadenza e persino le esitazioni umane. Sempre più startup e società di telemarketing stanno adottando sistemi vocali AI per vendere prodotti, fissare appuntamenti, raccogliere dati. Alcuni utilizzano modelli conversazionali evoluti (simili a quelli su cui si basa anche questo articolo), altri si affidano a banchi di risposte registrate innescate da parole chiave, in una sorta di teatrino semiautonomo. Il risultato? Un’interazione che imita l’umano, ma non lo è.

Etica, trasparenza e fastidio Il problema non è solo tecnico. È anche culturale e normativo. In teoria, chi usa un sistema automatizzato deve avvisare l’utente all’inizio della chiamata. In pratica, questo avviso spesso viene formulato in modo poco chiaro, oppure inserito nel flusso vocale in modo da risultare inoffensivo: “Sono un’assistente virtuale di…”, seguito subito dalla domanda per non dare tempo di reagire. Ma se una voce è così realistica da ingannare, anche per pochi secondi, dove si colloca il confine tra legittimo e manipolatorio? E cosa succede quando le risposte non sono all’altezza della simulazione? L’esperienza raccontata all’inizio lo dimostra: l’intelligenza artificiale, se non programmata bene, può infastidire più che aiutare, generando frustrazione e sfiducia.

Umani o AI? Una questione di fiducia Il punto critico è tutto qui: non stiamo parlando solo di tecnologia, ma di relazioni. Il telemarketing, piaccia o no, è un contatto diretto. Quando alzi la cornetta e rispondi “pronto?”, ti aspetti un’altra persona. Magari insistente, magari maldestra. Ma vera. L’uso di intelligenze artificiali nella comunicazione vocale tocca il cuore della nostra percezione di autenticità. Una voce che sembra umana ma non lo è genera smarrimento. E se questa voce ti vuole vendere qualcosa, il fastidio raddoppia.

È solo l’inizio… Queste telefonate sono ancora agli inizi, ma si moltiplicano rapidamente. E se oggi sono startup o servizi clienti a usarle, domani potrebbero essere assicurazioni, banche, enti pubblici. Nel frattempo, le regole restano vaghe. Il Garante per la Privacy ha più volte segnalato l’uso scorretto di sistemi automatizzati, ma i controlli sono complessi e spesso successivi alle violazioni.

Rispondi pure, ma resta sveglio Rispondere a una chiamata oggi significa anche allenare il nostro orecchio digitale. Saper distinguere una voce umana da una sintetica, leggere tra le righe, pretendere trasparenza. Perché una cosa è certa: l’intelligenza artificiale al telefono non è più fantascienza. È qui, parla bene e vuole venderti qualcosa.

Alessia Latini

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