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Perché deve essere “curato” chi è sessualmente diverso?

di | 2021-02-19T19:00:59+01:00 21-2-2021 6:20|Attualità, Sezione 5|0 Commenti

ROMA – L’orientamento sessuale e il senso della propria identità di genere non sono il sintomo di un problema nello sviluppo personale e quindi non c’è niente che deve essere individuato e “corretto”. Ormai la scienza si è fermamente attestata su questa idea ma esistono ancora molte resistenze ad accettarla. L’opinione che un omosessuale, una lesbica o una persona Lgbdtq (acronimo che riunisce tutte le tendenze non eterosessuali), abbia in sé qualcosa di “sbagliato” stenta, infatti, a morire anche nella nostra società che si definisce evoluta e civile. Ancora in molti considerano l’omosessualità un disturbo, una forma di immaturità psichica, e credono che sia preferibile ricorrere a cure con l’obiettivo di raggiungere una più tranquillizzante “normalità”. La quale, però, non consiste in un modello prestabilito da emulare ma nell’accettazione del proprio modo di essere, della propria personalità nella sua unicità, anche se essa non corrisponde ai parametri di un gruppo o della comunità.

E’ accertato che l’orientamento sessuale, infatti, non nasce da una perversione o da una visione distorta della realtà. Semplicemente, esiste per natura e quindi non può essere “piegato” verso un percorso diverso. Non ce n’è uno giusto, ce ne sono tanti: oltre agli omosessuali, esistono bisex, transgender, intersessuali, asessuali, pansessuali. In una parola, “queer”, un termine ombrello che racchiude tutte le tendenze. Infine c’è ally, che significa simpatizzante di ognuna di esse. Come si vede, sotto l’aspetto lessicale la mentalità occidentale si è molto evoluta accettando, per esempio, l’omissione della vocale finale delle parole per non discriminare a seconda dei generi oppure l’uso dell’asterisco per non fare distinzioni sessuali tra maschi e femmine. E comunque la storia insegna che l’omosessualità è sempre esistita ma solo con la nascita del Cristianesimo essa divenne un tabù portandosi dietro il senso di peccato e la vergogna ma soprattutto la condanna sociale, l’emarginazione. Però è una bella lotta.

Non essere in linea con i gusti sessuali stabiliti dalla Chiesa alla sua nascita, nel IV secolo d.C., ha significato per molte persone essere messe al bando per secoli, al rogo, nei tribunali in lunghi processi per stregoneria e poi nei campi di concentramento durante l’Olocausto. Anche oggi, nonostante conquiste come i matrimoni gay e la possibilità di adottare figli, la strada è ancora lunga da percorrere per chi è costretto a vivere in un mondo pensato per gli eterosessuali e viene bullizzato fin da piccolo perché ha qualcosa di “particolare”, non uguale agli altri ma che lo distingue. Sono tanti i suicidi di ragazzini esasperati per il fatto di essere derisi per il loro atteggiamento. Notissimo il caso di quello “con i pantaloni rosa” buttatosi dalle scale di un liceo romano dopo mesi di vessazioni da parte dei compagni. Un fatto di “cultura” che ci deve far riflettere. E così succede che spesso, chi scopre di essere omosessuale – quindi specialmente gli adolescenti – matura un senso di colpa o un dolore tale per il fatto di sentirsi diverso che ricorrerebbe a qualsiasi cosa pur di “guarire”.

E’ per questo che esistono le “terapie di conversione”, una realtà ancora attuale, purtroppo, se si dà un’occhiata ai dati relativi a queste tecniche (manipolazione psicologica, torture fisiche, isolamento, scariche elettriche e elettrochoc), praticate in tutto il mondo ancora oggi per tentare di “cancellare” una personalità scomoda. Già nel 1973 l’American Psychiatric Association definì la terapia di conversione come “una serie di pratiche pericolose e screditate che pretendono falsamente di modificare l’orientamento sessuale di una persona o l’identità o l’espressione di genere”. Nonostante questi percorsi attraverso i quali si tenta una “depatologizzazione” dell’orientamento sessuale non abbiano alcun fondamento scientifico e, anzi, lascino gravi traumi a chi decide di tentarli, essi sono diffusissimi.

Negli Stati Uniti la terapia di conversione è permessa in tutto il territorio tranne che in 18 Stati che la vietano solo sui minori. In Europa nel 2018 il Parlamento Europeo ha condannato queste pratiche ma solo Malta le ha vietate subito e di recente anche la Germania. In Italia siamo ancora in alto mare con una proposta di legge presentata nel 2016 ma ferma da quel momento. E così il quadro che emerge, soprattutto dopo i due film denuncia “Boy erased” e “La diseducazione di Cameron Post”, è agghiacciante. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani descrive le pratiche utilizzate nei centri per queste “cure”- servizi di sanità mentale, gruppi di preghiera e gruppi di auto-aiuto – come “immorali, non scientifiche e, in taluni casi, equivalenti a torture”. Non è tramontata l’era dei tabu neanche in Italia, dove il presidente dell’Arcigay, Sergio Lo Giudice, continua a denunciare l’esistenza di una proposta di legge che vieti e punisca queste pratiche e fa pure i nomi delle associazioni cattoliche “che offrono accompagnamento spirituale a persone con attrazione dello stesso sesso”. Anche tra gli psicologi, che hanno rifiutato ufficialmente queste terapie, ce n’è qualcuno che su richiesta si presterebbero a curare pazienti che vogliono “guarire dall’omosessualità” come dimostra il racconto nell’articolo di Luna Carpinelli su www.bullismoomofobico.i.

Il sottobosco che si cela sotto la nostra apparenza di una società evoluta è spaventoso. Ciò che non è omologato, che non si uniforma a modelli precostituiti, che è “diverso” insomma fa ancora troppa paura e la paura non è un bel segno perché è termometro di una libertà di pensiero che non è sana. Questa è la patologia sociale per la quale bisognerebbe trovare una terapia. Di gruppo.

Gloria Zarletti

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