MILANO – “Scienza della cooperazione ed educazione alla pace” è un percorso di laurea presente da qualche decennio in alcuni Atenei italiani, si tratta di un curriculum studiorum ad indirizzo giuridico-antropologico per la formazione di operatori di pace. Proposta a dir poco interessante, visto i tempi, ma che risulta essere antitetica al paradigma oggi prevalente che teorizza la riabilitazione della guerra, quale “strumento politico o di affermazione dei propri interessi”, come fa notare il cardinale Zuppi in una recente intervista. A ciò si aggiunga una sorta di assuefazione generalizzata al momento così tragico che l’umanità sta attraversando. Molti studiosi comportamentali imputano questo processo all’eccessiva “visibilità” e sottolineano quanto i media e l’opinione pubblica amino la novità; di conseguenza anche le notizie più terribili scorrono velocemente come i titoli di coda di un film.

Il Museo dell’Ara Pacis a Roma
Un altro aspetto riguarda quello che gli scienziati chiamano “status quo bias”, cioè quel processo per cui le persone, per ragioni varie, tendono a giustificare l’ordine esistente. Non c’è errore più dannoso del credere che un’ingiustizia smetta di essere tale solo perché ci siamo abituati a conviverci. Le iniquità ed i soprusi, purtroppo, non svaniscono, piuttosto restano lì, come la crepa in un muro che tutti fingono di non vedere, finché un giorno tutto l’edificio crolla. Oggi, in assenza di proposte politiche credibili e concrete da parte di tutti gli Stati e organismi sovranazionali, si assiste a una mobilitazione spontanea della cosiddetta società civile, fatta di mani nude contro mitra puntati in acque internazionali e di siti civili di Stati sovrani ed in pace colpiti da droni stranieri.

Il progetto originario dell’Ara Pacis
È evidente che queste manifestazioni, ove non degenerino in violenza pretestuosa, sono espressione di quella cultura della non-violenza ormai non più ascoltata dal momento che i discorsi bellicistici pronunciati da diversi leader politici legittimano sempre più la legge del più forte. Esse, tuttavia, di fatto rischiano di rimanere poco incisive se non supportate dal potere politico. Altrettanto vero che il far scorrere vanamente il tempo, assumendo unicamente il ruolo di spettatori sofferenti, non risolve i problemi. Il tempo, quando manca il coraggio dell’azione politica, normalizza e consolida. L’ultimo discorso del presidente Trump all’Onu ne ha, in qualche modo, evidenziato la scarsa incisività ed ha attestato che siamo, ove ci fosse ancora qualche dubbio, nell’età della forza e, per dirla con Leone XIV, nel tempo della “globalizzazione dell’impotenza”, alla quale occorre rispondere con la cultura della riconciliazione e della pace, diffusa sul campo e non solo teorizzata in percorsi di studi universitari.

Statua di Eirene con Pluto (copia romana), Glyptothek, Monaco di Baviera.
Eppure è così dolce il suono della parola pace! Nella mitologia greca era Eirene (Εἰρήνη), figlia di Zeus e di Temi ed una delle tre sorelle Ore (Ὧραι), insieme a Eunomia (εὐνομία/buon governo) e Dike (δίκη/giustizia). Spesso veniva raffigurata con una cornucopia, simbolo dell’abbondanza, con un ramoscello d’ulivo o con Pluto, dio della ricchezza, tra le braccia. La dea era legata simbolicamente alla stagione primaverile, quando la terra rifiorisce dopo il rigore invernale, garantendo così prosperità e continuità a tutte le specie viventi. La pace, quindi, venerata e cantata come unica situazione di normalità di vita e contrapposta alla guerra, causa di morte e perfino del rovesciamento dell’ordine naturale.

La statua della dea Pax
Erodoto riporta nelle sue Storie la risposta di Creso a Ciro, che gli domandava quale follia lo avesse spinto a muovere guerra a lui e al suo impero, così più potente da non permettere nessuna illusione circa l’esito del conflitto: “Nessuno è così stupido da preferire la guerra alla pace: nella pace i figli seppelliscono i padri, in guerra invece i padri seppelliscono i figli” (Erodoto, Storie, I, 87). Nella mitologia latina la dea Pax (il cui nome rimanda ad un’antica radice indo-europea, pak- o pag-, col significato di fissare, pattuire) era figlia di Giove e della dea Giustizia. Augusto usò la sua immagine per promuovere la stabilità dopo anni di guerre civili e fece erigere un altare alla pace, l’Ara Pacis. Gli storici, anche quelli del tempo, denominarono tale periodo “Pax Augustea”; tuttavia una lettura più critica e contemporanea richiede che non se ne tralasci la marcata funzione ideologica e propagandistica, che assolveva Augusto da ogni colpa ed aveva alla base (I sec. d.C.) una percezione diversa della pace.

Erodoto
Oggi i vari plutocrati al potere negano perfino le realtà scientifiche più accreditate e, quasi nuovi dei scesi in terra (“Ho avuto ragione su tutto”, sempre Trump, Assemblea generale dell’Onu, 23 settembre), si ritengono depositari della verità assoluta che sono sempre pronti ad imporre con la corruzione o con la forza.
Nessuna Ara Pacis viene più eretta, al contrario solo una sorta di perenne Ara Belli, su cui vengono immolate le vite di tanti innocenti.
Adele Reale
Nell’immagine di copertina, l’Ara Pacis voluta dall’imperatore Augusto

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