VITERBO – Siamo nell’epoca in cui tutto si misura, si registra e si posta. Anche le emozioni. Solo che, a furia di condividerle, qualcosa si è rotto. O meglio: si è spento. Benvenuti nell’era del minimalismo emotivo, la nuova tendenza che ci invita a fare decluttering (la pratica di eliminare oggetti inutili o non necessari per creare spazi più ordinati e funzionali) non solo dell’armadio, ma anche del cuore. Sì, perché oggi non si tratta più solo di liberarsi dalle magliette che non metti da tre anni: ora va di moda anche sentire meno, parlare meno di ciò che si prova, non farsi travolgere dai sentimenti. Non per freddezza. Ma per stanchezza.
Che cos’è il minimalismo emotivo? Si tratta, in parole povere, dell’arte del “non esagerare”. È quella strategia sottile (e a volte inconsapevole) che ti fa rispondere “tutto bene” anche se dentro hai un piccolo uragano. È scegliere di non coinvolgersi troppo, di restare un po’ ai margini, emotivamente parlando. Perché? Perché siamo stanchi. Stanchi di gestire mille cose, mille stimoli, mille drammi (anche nostri)… Il cuore, oggi, ha bisogno di una pausa. O quantomeno di un filtro. E non parliamo di quelli di Instagram. Perché sentiamo il bisogno di sentire meno? Facciamo un test veloce. Quante volte al giorno apri un social e vieni sommerso da confessioni, sfoghi, drammi (altrui)? Ricevi un messaggio lungo tre schermate con un “dobbiamo parlare”? Leggi articoli sul benessere mentale che ti spiegano che, sì, anche tu probabilmente sei sull’orlo di un burnout (stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale)? Ecco. La risposta è: troppe. È normale, allora, che la reazione sia una: difendersi. Il minimalismo emotivo nasce così: come un’auto-protezione.
Non è che non vogliamo sentire più niente. È che non possiamo sentire tutto. Altrimenti, esplodiamo. O ci trasformiamo in una bolla di sapone che posta aforismi motivazionali e poi piange sotto la doccia. È una cosa negativa? Non per forza. Ridurre il rumore emotivo può essere una mossa intelligente. Significa scegliere a cosa dare attenzione. E, se usato bene, può diventare uno strumento di benessere: meno drammi inutili, meno ansie da “devo rispondere subito a quel messaggio”, meno sensi di colpa per non aver detto “ti voglio bene” 5 volte al giorno. Ma attenzione: minimalismo emotivo non vuol dire apatia. Non è un invito a diventare automi. È più un “senti meglio, ma senti meno spesso”. Come dire: qualità, non quantità. Un’emozione ben vissuta, anziché mille buttate lì tra una call e un voice di 2 minuti e mezzo.
Minimalismo emotivo e relazioni: che succede? Nel mondo delle relazioni – amorose, amicali, lavorative – il minimalismo emotivo è già realtà. Risposte monosillabiche, ghosting come sport nazionale, gente che “non vuole legami, ma se vuoi ci vediamo domani”. Siamo passati dal “parlami” al “ti rispondo quando posso”, e la cosa buffa è che ci sembra anche normale. Il problema? Se lo facciamo tutti, nessuno si sente davvero. E se nessuno si sente, prima o poi qualcuno si spegne. Quindi, che si fa? La soluzione non è tornare a essere un fiume in piena che travolge tutto e tutti. Ma neanche diventare il deserto emotivo del Nevada.
Forse la chiave sta nel trovare un equilibrio tra sentire meno e sentire meglio. Nel dare spazio solo a ciò che conta, ma quando conta davvero. Nel dire “sto bene” solo se è vero. E magari, ogni tanto, anche nel dire “no, oggi non ho voglia di parlare, ma domani sì”. Perché il vero lusso, oggi, non è l’indifferenza. È sentire con consapevolezza. E non aver paura di farlo.
Alessia Latini
Lascia un commento