RIETI – “Seminare, raccogliere, distribuire, non solo chicchi di caffè, ma di giustizia, dignità, uguaglianza e autonomia”. Alla casa dei popoli di Via Carocci a Rieti, l’associazione Postribù ha lanciato la campagna 2025 di prefinanziamento del caffè equo e solidale, che è stata prorogata fino alla fine di marzo/prima settimana di aprile (rivolgersi a post.tribù@gmail.com o telefonare ai numeri 320/7147755 e 338/4096399; per ordinare singolarmente, senza far riferimento ai Gruppi di Acquisto Solidale, bisogna associarsi). A spiegare il progetto sono i volontari Dulce Chan Cab e Valter Vassallo di Tatawelo, nata nel 2003, dal 2021 Società Cooperativa Impresa Sociale (Tatawelo.it, sede a Bra, in provincia di Cuneo).

Dulce Chan Cab e Valter Vassallo di Tatawelo
Il progetto di prefinanziamento è gestito dal basso, su base volontaria, in rapporto diretto con i produttori delle comunità indigene zapatiste del Chiapas (Messico), una filiera e un prezzo trasparente ed equosolidale, attraverso una rete di consumatori consapevoli e Botteghe del Mondo, Gruppi di Acquisto Solidale (in Italia ce ne sono 250) che a Rieti fanno riferimento a Postribù e ai suoi Gastribù. Un altro mercato è possibile in cui autonomia, economia ed etica camminano insieme. Con il prefinanziamento, ordinando il quantitativo di caffè mediamente consumato in un anno da una famiglia, le comunità sapranno quanto potranno coltivarne, senza sprechi.
Secondo la carta dei criteri del commercio equo e solidale italiano, le organizzazioni aderenti si impegnano a pagare un prezzo equo che garantisca a tutte le organizzazioni (di produzione, di esportazione, di importazione e di distribuzione) un giusto guadagno; il prezzo equo per il produttore è quello concordato con il produttore stesso sulla base del costo delle materie prime, del costo del lavoro locale, della retribuzione dignitosa e regolare per ogni singolo produttore.

Sebastiana lavora a Puente Alto
Si possono ordinare due tipi di arabica (migliore rispetto alla robusta): il ‘Mexico’ delle comunità zapatiste del Chiapas e il ‘Guatemala caffè Effe’ per aiutare le donne coltivatrici della Cooperativa Asobagri di Puente Alto, Barillas, Huehuetenango, Guatemala, ritornate con difficoltà alle loro terre, dopo aver vissuto l’atrocità del massacro della propria comunità nel luglio 1982, per mano dell’esercito del dittatore Rios Montt, i cui carnefici sono rimasti impuniti. A Puente Alto sono stati uccisi 365 indigeni, di tutta la comunità sono sopravvissute 35 persone, soprattutto donne. Con una volontà eroica e senza risorse hanno continuato a coltivare caffè in agroforesta, unite per il bene comune e per dare speranza ai loro figli, trovando la forza per andare avanti nella cooperativa. Il sostegno diretto si esplicita attraverso l’acquisto equosolidale del loro caffè verde, comprensivo della Quota Progetto, da mettere a disposizione per le necessità.
Dulce e Valter proiettano il video sulla vita nel villaggio di San Pedro Pholo della cooperativa Yachil Xojobal (in lingua Maya, significa nuova luce nel cielo), la filiera di produzione, il video con Sebastiana a Puente Alto, mentre alleva, coltiva, tesse al telaio (video su su youtube). Il raccolto sarà disponibile entro settembre. “Tutto viene autoprodotto, si compra solo ciò che non si può fare da soli” sottolinea Valter. In lingua Maya Tatawelo significa bisbisnonno, quindi antenato e infatti nei villaggi la vita scorre seguendo le tradizioni, nel rispetto della natura, senza uso di chimica, le piante sono protette dalla foresta, è un lavoro lungo e impegnativo, fatto manualmente, con il machete. Nella foresta si coltivano anche piante medicinali, frutta, banane e ci si sta organizzando per preparare anche il decaffeinato. I pipistrelli selezionano le bacche più dolci, poi, quando si mettono a testa in giù, lasciano andare il seme più resistente. Anche la buccia è edibile, non ha caffeina e si può fare la farina, da miscelare con la farina bianca al 20%.
Al momento dell’imbarco e spedizione, i volontari di Tatawelo si recano al villaggio e accompagnano i camion con i sacchi di caffè: “E’ triste doverlo dire – spiega Valter – il trattamento verso gli indigeni è discriminatorio rispetto ai grandi produttori e alle multinazionali, spesso gli uffici dicono che i documenti non sono pronti. Questo significa trascorrere una notte in albergo, senza neanche poter dormire, per controllare che non rubino i sacchi nei camion, spendere soldi e tempo prezioso. Sembro una persona tranquilla, ma quando sono lì con loro alzo la voce con tono perentorio e sguardo duro. Vedono un europeo e allora non fanno storie. A preparare i documenti ci vogliono pochi minuti”. Tatawelo propone fino ad esaurimento delle scorte, anche il cous cous e il sapone delle donne palestinesi (prodotti prima del conflitto).
La cooperativa “Liberomondo” è in liquidazione e Tatawelo si raccorda con l’Associazione Rurale Italiana (www.assorurale.it) membro coordinatore europeo della via Campesina (movimento internazionale che riunisce milioni di contadini, indigeni e migranti) per riorganizzare l‘aiuto alla popolazione: “Il prossimo anno speriamo di poter ripartire, anche se non sappiamo se i centri di produzione a Nablus in Palestina sono ancora attivi e in grado di produrre”. Non solo caffè, ma anche scambio di semi e colture per gli orti collettivi: “Teniamoci stretti i contadini produttori, fuori dalla grande distribuzione e dagli sfruttamenti, salvaguardiamo le colture locali, la biodiversità”, è la filosofia di Postribù e di Tatawelo.

Dulce Chan Cab
Una piccola lezione sul consumo di caffè: sappiamo che la tostatura è importante e nelle montagne del Chiapas la sanno fare senza alte temperature, quello che non sappiamo, o sappiamo troppo poco, è la differenza tra qualità arabica e robusta. La robusta è più forte e costa meno. La miscela tra le due qualità dovrebbe avere una percentuale di 70% di arabica e 30% di robusta, ma con i prezzi che stanno aumentando sempre di più, la percentuale non viene rispettata e la robusta può arrivare anche al 90%. Abituiamoci a leggere le confezioni e se siamo al bar possiamo riconoscere se c’è troppa robusta, perché in questo caso viene più sete e un po’ di tachicardia. In una miscela 100% di arabica c’è lo 0,9 di caffeina, la robusta ne ha dal 3,5 al 4.
Dietro un chicco di caffè (quotato in borsa) c’è dunque un mondo, anzi due: quello dei contadini del Chiapas e delle donne in Guatemala e quello delle multinazionali: allora, citando il film di Alberto Lattuada del 1970 con Ugo Tognazzi, “Venga a prendere il caffè a noi”.
Francesca Sammarco
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