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“Sindrome Italia”, male oscuro delle badanti

di | 2022-09-04T09:04:59+02:00 4-9-2022 6:30|Attualità, Sezione 7|0 Commenti

ROMA – Si chiama “Mal d’Italia” o anche “Sindrome Italia” e ne soffrono moltissime delle badanti dell’Est, soprattutto rumene, che vengono nel nostro paese per accudire i nostri anziani. E’ uno stato depressivo, un “burnout”, che nasce dal ritrovarsi senza radici, in una terra straniera dove sono arrivate con molte aspettative, spezzando di fatto legami con le famiglie anche se il consolidamento di esse è l’obiettivo di questa impresa. Il “Mal d’Italia” è, quindi, uno struggimento per ciò che si è lasciato ma anche, una volta tornate, l’incapacità di sottrarsi al richiamo di un nuovo lavoro in Italia, fonte di guadagno e benessere economico per figli e mariti. E’ un andare, spesso per non tornare più o, quando ciò accade, per tornare in condizioni psicologiche devastate dopo essere passate di casa in casa, di famiglia in famiglia, il più delle volte interfacciandosi solo, h 24, con un malato di Alzheimer, gestendogli farmaci, pasti, pannolone giorno e notte.

E’, questa, l’altra faccia del badantismo, realtà che siamo abituati a guardare solitamente da un altro punto di vista, preoccupati a fare la scelta della persona giusta da affiancare al nonno o la nonna, di accollarci il fastidio di un estraneo in casa, di contributi e salari da pagare a fine mese, sostituzioni domenicali ed estive. Ma dietro c’è molto di più. I numeri di questa presenza nelle nostre case la dicono lunga. L’Italia è il paese dove questo flusso di arrivi è più corposo. Secondo il Censis ce ne sono 1 milione e 650 mila, un numero che si porta dietro strascichi sociali e umani inimmaginabili, storie drammatiche di solitudine, frustrazione e anche di morte. Solo nel 2010 in Romania si sono registrati 100 casi di suicidi infantili perché queste madri, oltre che coraggiose, eroiche e disposte a fare un lavoro ingrato ed umilissimo, ad essere maltrattate e prese a parolacce, sono anche madri abbandoniche.

Quando sono ancora giovani e in forze, fanno la valigia e partono sperando in un futuro migliore per i loro figli, il più delle volte stufe di mariti nullafacenti e ubriaconi, inetti. Spesso il resto della loro vita lo trascorreranno di casa in casa a prendersi cura di altre persone bisognose ma non dei propri figli che vengono cresciuti dai nonni ma sanno che la loro madre c’è però sta da un’altra parte. Il più delle volte si fanno vecchie in Italia rinviando il loro definitivo ritorno mentre i loro figli si sposano e nascono quei nipoti che non conoscono ma esibiscono nelle foto sul telefono, unico legame che rimane con la patria.

La spinta forte a partire, però, è quella di organizzare una nuova vita per la famiglia economicamente disagiata, di sistemare la casa e trasformarla in una villa, di far studiare i figli e farli laureare. Il risultato è che esse stesse non godranno mai del risultato del loro lavoro perché a volte l’ambìto riscatto sociale non si verifica, altre ne usufruiscono mariti fedifraghi e figli ormai distanti affettivamente. Per questo molte di loro si suicidano. E’ una situazione poco nota, addirittura una emergenza su cui lo scrittore Marco Balzano, milanese di 44 anni, ha lanciato una denuncia sociale con il suo romanzo “Quando tornerò” (Einaudi, 2021). La storia che lui racconta è sempre quella: una madre che parte di nascosto lasciando figli e marito sfaccendato e troppo incline alla vodka. Li mantiene per anni con i soldi che guadagna, cercando di orientarne le scelte di vita, gli studi, ma il suo tentativo di controllare tutto la porta fuori strada e la sua vita si consuma nel dramma.

L’autore, costruendo questa storia, attacca i pezzetti di tanti racconti ascoltati in un viaggio in Romania nelle interviste alle donne che hanno avuto queste esperienze, indaga le sfaccettature del loro animo, scandaglia il dolore e la frustrazione di una madre che vede il suo sogno di riscatto fallire, una famiglia sfasciata, la disperazione e il disorientamento del figlio, il distacco emotivo della figlia. Balzano, che si è avvalso della collaborazione di psicologi e associazioni attive sul territorio a difesa delle vittime di questi veri e propri abbandoni, fa luce su un fenomeno che non fa comodo a nessuno vedere ma che esiste, è diffuso e preoccupante. Si tratta di una migrazione a tutti gli effetti, perché quelle badanti difficilmente “tornano”. Al contrario, restano perché non hanno più radici né niente da perdere. Una migrazione tutta al femminile, che parte da una società spezzata già in partenza perché privata del nucleo familiare che poi, lì, in patria, è destinato ad implodere, mentre queste donne ne tengono in piedi altri e ne diventano il sostegno fondamentale.

L’Italia si sta trasformando e deve tanto a queste presenze silenziose, di cui non c’è consapevolezza più di tanto e, anzi, di cui non si considera il ruolo centrale che stanno assumendo ma che andrebbe regolamentato, oltre che riconosciuto. Il romanzo di Marco Balzano ha il merito di aver fatto luce su un fatto sociale e culturale di estrema importanza, sulla questione che queste donne da noi chiamate a volte con disprezzo “badanti” in realtà si prendono cura dei nostri cari perché non c’è nessun altro che lo farebbe e spesso (perché ci sono anche eccezioni), si legano affettivamente con loro garantendo quell’affetto che altrimenti non avrebbero.

Una stranezza davvero, quella che si sta verificando nella società italiana, che cela dietro di sé una sofferenza e un disagio su cui non si può transigere e di cui i governi di partenza e di arrivo dovrebbero prendere atto.

Gloria Zarletti

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