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Ma l’uomo diventa o nasce subito cattivo?

di | 2020-05-23T11:59:41+02:00 24-5-2020 6:30|Cultura, Sezione 7|0 Commenti

ROMA – La questione ha da sempre impegnato pensatori, filosofi, pedagogisti e sociologi: l’uomo nasce o diventa cattivo? Perché, a giudicare da quello che ha combinato al suo simile da quando si è presentato sulla faccia della terra, una bella dose di malvagità ce l’ha sempre avuta, innegabilmente. Basti solo questo: che appena ha messo su la prima civiltà complessa, ha iniziato a portare avanti guerre di conquista con tutto lo strascico di stupri, genocidi, traumi e distruzione. Questo lato del carattere umano, quindi, è un dato di fatto. Il dilemma, però, sta in questo: la cattiveria si acquisisce con il crescere o quando veniamo al mondo siamo già belli attrezzati?

William Golding, premio Nobel nel 1983

William Golding, premio Nobel per la letteratura nel 1983, non aveva dubbi quando, nel 1952, pubblicò “Il signore delle mosche”. Il suo romanzo distopico immagina che un gruppo di bambini, rimasti soli su un’isola deserta e privi di un adulto che li guidi, si dividono in due bande che finiscono per farsi la guerra regredendo ad uno stato primitivo e cruento. Tutto il romanzo è intriso di episodi violenti, forti, cui Golding, in una visione profondamente pessimistica, attribuisce un significato antropologico ben preciso ossia che l’uomo, per sua indole, ha una propensione al male. Quello stesso male che portò alla cieca follia militare e politica delle dittature che caratterizzarono l’Europa del secondo Novecento. Golding, ispirandosi proprio a questo capitolo di storia vergognoso per l’umanità, usa il gruppo dei ragazzi e lo spazio limitato dell’isola per dimostrare che la democrazia, anche nei piccoli gruppi, è sempre molto fragile e prima poi, a dispetto di tutte le regole che una comunità può darsi, gli individui senza scrupoli e folli prendono il sopravvento. Una posizione, la sua, agli antipodi di quella che Jean Jacques Rousseau aveva voluto dimostrare nel suo romanzo “Emile”. Era convinto che nell’uomo fosse connaturata una bontà originaria che solo con il progresso si sarebbe corrotta portando alla degenerazione dei rapporti sociali. Rousseau, con questa teoria, ha sempre conservato il suo fascino fino a quando le scienze umane, con la seconda guerra mondiale e gli orrori del nazismo, hanno avuto nuovo materiale su cui ripensare la natura dell’uomo.

Golding scrive “Il signore delle mosche” su questa scia ponendosi agli antipodi del pensatore settecentesco: il suo romanzo è una metafora del male che gli uomini possono procurare ai loro simili. I suoi bambini rappresentano, infatti, l’umanità del XX secolo, quella feroce che ha sterminato migliaia di persone nei lager. Il successo di Golding dopo l’uscita del libro (seguita da due edizioni cinematografiche), fu grandissimo, essendo convinto il pubblico mondiale, dopo gli eventi bellici, che civiltà, tolleranza, reciprocità, solidarietà fossero solo una patina, tolta la quale, nell’uomo rimane solo violenza. E che sulla sua ragione prevalgano gli istinti animali. Oggi l’interesse che l’opera di Golding continua a riscuotere, ci dice che l’idea che il bambino ci nasca, con il vizio di predominare sul suo simile, in fondo piace sempre. E a rintuzzare il fuoco della discussione su questo argomento negli ultimi giorni c’è stato l’ articolo del “Guardian” riportante un estratto del nuovo libro dell’olandese Rutger Bregman dal titolo “Humankind” . L’autore sostiene, nell’intervista rilasciata al giornale britannico, di avere le prove che in una situazione simile a quella raccontata da Golding, le cose non si svolgerebbero esattamente come lui le ha immaginate. Per dimostrarlo Bregman, che conta su una visione scientifica più positiva e promettente dell’umanità, racconta una storia vera accaduta nel 1965: sei ragazzi provenienti dalle isole Tonga, naufragati su un’isola deserta, si organizzarono pacificamente dimostrando che in situazioni analoghe a quelle del Signore delle Mosche, la violenza e la sopraffazione non sono l’unico possibile sviluppo di una situazione di convivenza.

Rutger Bregman

“E’ tempo di raccontare un diverso tipo di storia – afferma Bregman nell’intervista – perché la lezione che hanno dato questi ragazzi è che si dovrebbe cercare sempre ciò che è buono e positivo nelle persone, non il contrario”. La storia raccontata da Bregman è documentata. Egli cita nomi e circostanze in cui la vicenda è accaduta. Lo scrittore è convinto che ciò che accadde ai protagonisti sarebbe stato il vero epilogo del Signore delle Mosche il quale – lo scrittore olandese ci tiene a precisarlo – oltretutto è una storia che Golding ha inventato di sana pianta. Sui social la notizia ha già fatto impazzire centinaia di utenti che prendono le parti dell’uno o dell’altro. Stabilire, però, quale teoria sia la più verisimile oggi non è proprio facile. Sicuro è che la convivenza non è il nostro forte. Quante amicizie sono finite dopo una vacanza nella stessa casa? E poi le liti di condominio: solo in Italia ce ne sono 2 milioni pendenti ma qui ci si può scrivere un’altra storia.

Gloria Zarletti

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