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“Luisa Miller” a teatro: una gioia per tutti

di | 2022-02-13T08:17:45+01:00 13-2-2022 6:40|Sezione9, Spettacolo|0 Commenti

ROMA – Alla ‘prima’ di “Luisa Miller” di Verdi, l’8 febbraio al Teatro dell’Opera, c’era numeroso tutto il pubblico, senza distanziamenti, senza limiti, mascherina sul volto e basta! Vivo è ancora il ricordo del maggio ’21, quando questa creazione verdiana fu data in streaming e a teatro vuoto, tale da far stringere il cuore più che se fossimo stati colpiti dal virus. Ma oggi, inoltre, per massima gioia di tutti, il giovane maestro Michele Mariotti, che sarebbe diventato direttore artistico dell’ente lirico dal prossimo novembre, è entrato nel ruolo da subito: e dirigendo meravigliosamente “Luisa Miller”, ha cooperato a fare uscire questa giovanile opera del Maestro di Busseto dal silenzio, in cui una critica limitativa l’aveva confinata quasi dall’inizio.

Il soprano Roberta Mantegna

In Teatro, la traduzione del testo di Salvadore Cammarano (che per l’opera si ispirò a un dramma di Schiller), compariva in alto oltre il sipario, luminosa, a lettere grandi che non sparivano subito (ahimè, come spesso!), e consentivano di cogliere tutto il significato del dramma, che Verdi aveva sfrondato di re, regine, faraoni e nabucchi. Aveva infatti messo in scena reali problemi di famiglie nobili e borghesi – i Werter e i Miller – con diversi pregiudizi duri a scomparire, tali da distruggere l’amore puro dei loro figli, e facendo precipitare il dramma in tragedia. La luminosità della musica diretta da Mariotti, si è unita alla qualità delle voci, a partire dal soprano Roberta Mantegna (Luisa, figlia del soldato Miller), uscita da “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro e affermatasi all’Opera fin dal 2019 con “Les Vêpres Siciliennes” di Verdi”.

Michele Mariotti, direttore d’orchestra

Le voci, ancora, del mezzosoprano in carriera Daniela Barcellona nel ruolo della contessa Federica, del notissimo basso Michele Pertusi qui Conte di Walter, immobile nei suoi rigidi principi, la fresca voce del giovane tenore Antonio Poli nel ruolo di Rodolfo ed altri, hanno avuto un grande potere: quello di farci dimenticare i pavimenti, i tavoli, i letti verticali, i bambini con giocattoli e palloncini nelle scene drammatiche dei protagonisti – dei quali volevano simboleggiare l’infanzia, nell’ottica del regista Damiano Michieletto – e la tristezza degli abiti (da lavoro?) degli artisti, disegnati da Carla Teti, ma previsti da Verdi come costumi del XVII secolo.

Siamo ripartiti al Teatro dell’Opera: e speriamo di non fermarci più.

Paola Pariset

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