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“La zona d’interesse”, Auschwitz vista da chi gestiva l’orrore

di | 2025-01-29T19:03:20+01:00 2-2-2025 0:20|Sezione 5, Spettacolo|0 Commenti

ROMA – Suoni, voci lontane, urla, spari. E colonne di fumo nero. Sono l’unico accenno all’orrore dei campi di concentramento che tutti conosciamo grazie alle testimonianze dei superstiti, numerosi film, libri. Ma alle notti insonni, agli incubi di chi quell’orrore lo ha gestito – se non proprio generato – la sua colpevole nausea, non li avevamo mai considerati. E così è arrivato nelle sale “La zona d’interesse” di Jonathan Glazer, adattamento del romanzo di Martin Amis del 2014, che ha vinto l’Oscar nel 2024 come miglior film internazionale e anche per il miglior sonoro.

Immagini dirette, sintesi di quanto la smania di potere possa portare l’uomo alle più forti contraddizioni in nome del comando e di quel bene privato, personale, che dà il titolo alla pellicola: la zona di interesse è la pertinenza della propria casa, al di là della quale può esserci anche l’inferno come è stato ad Auschwitz. Ma l’importante, per chi fa il male, è che a casa propria si sia tutti buoni. Tra le contraddizioni che caratterizzano il protagonista, il direttore del lager, la prima di tutte è nella quasi spasmodica ricerca di bellezza in una natura pur contaminata dalle emissioni dei forni crematori al confine con la sua splendida villa. Lui è il nazista Rudolf Hoss.

Il suo giardino, curato dalla moglie Hedda, è un tripudio di fiori profumati e rarità botaniche, lui educa i figli al rispetto e all’amore per gli animali. Ma tutto il benessere della sua bella famigliola deriva dalle spoliazioni dei deportati ebrei che lì vicino, al di là del muro, stanno subendo una ferita che l’umanità non potrà dimenticare. Non c’è racconto in questa pellicola, ma molte immagini che accendono la luce sui particolari di una storia che nessuno può permettersi di non conoscere.

La vita familiare di Hoss si svolge apparentemente nella normalità, nell’agiatezza molle di chi è ricco ma si capisce bene che le suppellettili di quella residenza, fino alla pelliccia di Hedda, provengono dalle case dei deportati, molti dei quali sono morti, alcuni svolgono servizi nella sua ricca residenza Tutti sanno il perché di quel benessere, e ne godono ma non c’è serenità in quelle esistenze. Anche i bambini si svegliano nella notte stretti nella morsa di un’angoscia senza fine, inconsapevole ma pesante.

Non sono narrati gli stenti e le torture, la morte, ma il fumo che sporca i panni stesi è un’accusa pesante verso chi ha permesso il sacrificio di tanti innocenti. “La zona d’interesse “ ci parla in un altro linguaggio, più alto, quello di chi indaga nel profondo le cause di ogni azione umana che, in nome del potere e del guadagno, è capace di perseverare nella malvagità anche a costo di sopportarne i sensi di colpa. Il film è “per chi sa” ed è capace di cogliere quel male che serpeggia nella nostra civiltà e che Hanna Harendt chiamó “banale”.

Gloria Zarletti

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