NAPOLI – Si pensa, da troppe parti e da troppo tempo, che la scuola serva unicamente ad occupare spazi vuoti più che dare significato ed indirizzo ad un modo di vivere. Discutibile quanto si vuole ma una formazione culturale per non dire esistenziale la scuola la dà. Accade, per chi è fortunato, che un adulto suggerisca un percorso, che qualcuno si appassioni all’umano dei ragazzi, che qualcuno percepisca quel quid che permetta di realizzarsi. Certo, c’è da fare i conti con la realtà che vuole che tu lavori, che “porti i soldi a casa”.
La scuola serve, nonostante tutto, a giudicare il mondo: a rinverdire l’umano, forte dell’incontro con la genialità umana, a rigenerare il proprio cuore, quell’arma che vale più di ogni altra cosa. La scuola ha questo di importante: essere un luogo che ti sollecita, che ti apre gli occhi e sostiene il desiderio di conquistare (sapere), appunto giudicare. Permette non solo al discente, non solo al docente ma anche ad una intera realtà familiare di essere attenti al contesto sociale ancor più del semplice passare accanto.
Permette di vagliare un mondo che porta inesorabilmente alla solitudine accettandola bonariamente e inconsciamente come forma per evitare un contrasto, un confronto. Del resto la tentazione forte è quella di non immischiarsi, di non sporcarsi le mani nelle vicende della vita. Come quelli che sostengono di credere in Dio ma di non frequentare la chiesa così appaiono certi colleghi che credono nella scuola ma sporcarsi le mani in un lavoro, in un rapporto con gli alunni non se ne parla nemmeno. Si demanda un lavoro, un compito, un sacrificio; troppo spesso perché le ragioni vengono meno.
Ma la scuola cosa c’entra allora? La scuola aiuta, sostiene, tiene vivo un fuoco, uno sguardo affinché si possa uscire dallo stordimento collettivo, dal tempo che si sbrodola, dal borghesismo molliccio, dall’usa e getta dei rapporti e dei lavori. A pensare che per tutto il mese maggio a scuola non si è parlato d’altro: “Dai, che sta per finire!”, “Lo so, siamo tutti stanchi, anche i ragazzi non ce la fanno” si è fatto il conto alla rovescia. Discorsi inconcepibili, fuori da quelle mura. Giustificare qualsiasi azione dando la colpa alla stanchezza, quasi che il desiderio di vivere, di sapere ad un certo punto scada. “Mi dispiace signore, è scaduto il tempo per imparare”. Per tutto il mese di maggio e così a seguire bisogna rilassarsi, troppo stress fa male…
Ma davvero la scuola può suggerire una visione della vita così ridotta? E via con le giustificazioni di rito. “Finalmente il meritato riposo, ora solo vacanza” (cioè desiderio di vita vacante!). È questa la percezione di chi si libera della scuola? O questi nove mesi sono stati un travaglio senza parto, un’attesa senza bambino? Un peso inutile, una gravidanza in cui abbiamo già dato, e ora non vogliamo più rogne? Può mai concepirsi una tale frammentarietà in un uomo, in un ragazzo? Altro che finita: è ora che si comincia. Se adesso ci accorgeremo che la vita è una, senza salti fra banchi e ombrelloni, alla ripresa non avremo bisogno di ricarburare togliendo il costume e indossando una maschera, perché al posto di nostalgie da relax avremo da regalare una più ardente fame di cominciare.
Chi ci risparmierà, dopo i luoghi comuni di maggio, i luoghi comuni di settembre? Chi potrà raccontare la scoperta estiva di luoghi non comuni? “Le ore del mattino sono occupate dalla scuola: nelle altre cosa facciamo?” si chiedeva Agostino nelle Confessioni: “perché non impiegarle in quest’opera”, di cercare l’ideale per cui dare la vita, anziché buttarle via riempiendo il vuoto con l’inutile? Solo l’ardente desiderio di abbracciare la vita può dare il giusto ristoro. Solo la ricerca, il desiderio di una “seppur accennata umanità nuova, per chi ha l’occhio e il cuore sinceri per riconoscerla, che si rende visibile attraverso la compagnia di coloro che riconoscono questa umanità nuova, può rinverdire una natura arida e amara”.
E la cosa bella che ogni sforzo fatto da ciascuno, docente bello o brutto che sia, in coscienza o meno, testimonia inesorabilmente un desiderio, suggerisce un modo nuovo di implicarsi, distrattamente coglie il cuore di qualche alunno e, a Dio piacendo, di qualche collega.
Innocenzo Calzone
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