MILANO – La tecnologia continua a far passi da gigante permettendo di chattare con una persona defunta come se fosse ancora in vita. È la cosiddetta “resurrezione digitale”. Da sempre l’uomo ha cercato un contatto con l’aldilà invocando i defunti attraverso sedute spiritiche o con l’aiuto di un medium. Oggi la tecnologia permette in qualche modo di “mantenere in vita” il caro estinto. Dovrebbe essere un modo per elaborare meglio e più in fretta la perdita di una persona cara ma non sempre è così. Infatti continuare a chattare in modo virtuale con chi ha lasciato questa terra di fatto rende difficile se non impossibile accettare il lutto anziché alleviarne il dolore.
Il metodo in questione consiste nella possibilità di scrivere per via telematica a una chatbot, che funziona come le più note intelligenze artificiali generative, ma con la differenza che, invece di addestrarla sul web, a essa viene dato in pasto tutto ciò che una persona scomparsa ha prodotto di digitale nella sua vita, quindi chat, sms, messaggi vocali, e-mail… Questo permette al software di modellare il suo stile di scrittura su quello del defunto e rispondere ai messaggi in modo del tutto simile a quanto egli faceva quando era in vita. Con la tecnologia attuale, far “risorgere” una persona diventa quindi un gioco da ragazzi.
In Cina le pompe funebri stanno creando avatar dei defunti utilizzando l’intelligenza artificiale. A partire dalle foto, i video e le registrazioni vocali dei defunti vengono creati avatar che durante il funerale recitano qualche frase di commiato. Sono sbiaditi e in trasparenza, simili a ologrammi che cercano di comunicare. Spesso riascoltare la voce di una persona cara defunta può essere utile a superare il lutto, è importante però ricordare sempre che i robot possono catturare solo una piccola parte di qualcuno e in nessun modo sono in grado di sostituire le relazioni umane. Conversare con le versioni digitali dei propri cari potrebbe addirittura prolungare il dolore e creare uno scollamento dalla realtà.
La morte da sempre ha fatto parte della vita stessa, accettarla per sé stessi e per gli altri è fondamentale. Mantenere vivo il ricordo è umano, trattenere tra le pareti di casa la voce di chi non c’è più ascoltando messaggi che anziché provenire dall’aldilà sono generati ad uso e consumo di chi non vuole accettare la realtà può essere dannoso rendendo troppo debole il confine tra realtà e finzione. Inoltre potrebbero nascere anche problemi dal punto di vista legale. Infatti se le repliche digitali diventeranno mainstream, bisognerà creare nuovi processi e norme relative alla eredità online. Per esempio si è sicuri che il “caro estinto” vuole continuare a comunicare per via digitale con chi resta? Ha lasciato una dichiarazione scritta che ne è consapevole ed è consenziente? Per caso egli stesso ha lasciato messaggi digitali per chi resta nel tentativo di rispondere ad eventuali domande?
Certo è che la questione resurrezione artificiale apre un nuovo scenario giuridico ed etico tutto da scrivere. Chi possiederà e cosa se ne farà di questo e di altri avatar chi l’ha creato? Ma soprattutto questo tipo di chatbot ribattezzata già deadbot creerebbe una dipendenza esacerbata al servizio/prodotto tale per cui andrebbe riscritta quella che è l’esperienza umana del lutto e della sua finita elaborazione. Un esempio di utilizzo è quello elaborato da James Vlahos che ha creato il “Dadbot”, una chatbot che replica le conversazioni con suo padre deceduto. Questo progetto non solo ha permesso a Vlahos di continuare a interagire con una versione digitale di suo padre, ma ha anche dato il via a una nuova forma di eredità digitale che trasforma la memoria in un’esperienza interattiva.

James Vlahos
Infatti a partire da qui Vlahos ha fondato HereAfter AI, una piattaforma che consente di caricare i ricordi dei propri cari per creare “life story avatars”, che possono essere utilizzati per comunicare con amici e familiari in modo dinamico. Questo approccio rappresenta sicuramente un significativo passo avanti nella conservazione della memoria digitale, offrendo una nuova modalità per mantenere vive le connessioni affettive anche dopo la morte. Così la resurrezione digitale attraverso l’AI rappresenta una rivoluzione nella gestione del lutto e della memoria, ma solleva anche complesse questioni etiche che richiedono un attento esame di cui tener conto.
Margherita Bonfilio
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