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La poesia di Montanaru, appassionato cantore della Sardegna

di | 2021-05-01T00:24:51+02:00 2-5-2021 6:25|Cultura, Sezione 6|0 Commenti

NUORO – Montanaru è lo pseudonimo con cui era solito farsi chiamare Antioco Casula, noto poeta sardo amante della poesia in “limba”. Nato a Desulo, paese barbaricino ricco di sorprese, il 14 novembre del 1878, frequenta le scuole elementari a Desulo e il Liceo Ginnasio a Lanusei e a Cagliari. All’età di 16 anni abbandona gli studi e due anni dopo, appena diciottenne, si arruola nell’arma dei carabinieri. Ha così l’opportunità di viaggiare e conoscere tutta l’Isola, i suoi usi e costumi ma, soprattutto, le diverse varietà linguistiche di cui è ricca la Sardegna. La sua prima raccolta di versi risale al 1898-1900 e viene pubblicata nella “Piccola rivista” di Cagliari. Dopo pochi anni, nel 1904, pubblica i suoi versi giovanili raccolti in un volume chiamato “Boghes de Barbagia” (Voci di Barbagia) e così si fa conoscere dai lettori sardi e da alcuni critici come Raffa Garzia e Antonio Scano. È di quegli anni la sua amicizia con Grazia Deledda e Sebastiano Satta cui rimane sempre legato da amicizia fraterna.

Rientrato a Desulo, dopo l’esperienza militare, lavora presso l’Ufficio postale del paese. Nel 1909 si sposa con Antioca Floris e da lei ha cinque figli, ma la sua vita è segnata da tragici lutti che condizionano tutta la sua esistenza. Sopravvivere alla morte dei propri cari lacera nel profondo l’animo, così dopo la morte della moglie e del maggiore dei suoi figli, il lavoro e la poesia diventano le sue valvole di sfogo e la sua forza per andare avanti. Nel 1922 pubblica il suo secondo volume di poesie dal titolo “Cantigos d’Ennargentu” (Canti del Gennargentu) e solo allora ottiene il plauso della critica, venendo considerato uno dei maggiori poeti sardi. La bellezza delle sue liriche fa conoscere Montanaru anche fuori dall’Italia, così molti dei suoi componimenti sono tradotti in lingua inglese, francese e tedesca. L’idioma linguistico scelto da Montanaru per comporre le sue liriche è il Logudorese da lui definito “l’idioma che mirabilmente si presta ad ogni genere di componimento, in prosa come in versi, ritenuto per molto tempo la sola lingua letteraria dei sardi”.

Dopo il diploma conseguito alle magistrali insegna nel suo paese natale e qui, proprio nell’ambiente scolastico, inizia la sua personale battaglia per diffondere la lingua sarda in tutte le scuole dell’isola di ogni ordine e grado. Affida i suoi pensieri a un diario in cui racconta i suoi desideri e i suoi propositi e nel 1925, nella città di Milano, rappresenta la Sardegna al primo Congresso nazionale dei dialetti d’Italia. Con l’avvento del Fascismo aderisce all’ideologia di Mussolini ma ben presto se ne discosta e nel 1928 viene deferito alla Commissione politica di disciplina: viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Nuoro in attesa di giudizio. Addirittura viene accusato di aiutare alcuni banditi latitanti nascosti nel Gennargentu. Viene assolto e rimesso in libertà, ma controllato a vista dal regime. Decide, perciò, dal 1934, di vivere nel suo piccolo paese dove trascorre una esistenza tranquilla, lontano dal fragore delle città e dal rumore e dal caos generato dalla guerra che vengono percepiti, come un’eco lontana fra i boschi di lecci e di castagni desulesi che fungono da sua Musa ispiratrice.

Caduto il Fascismo milita nel Partito sardo d’azione e sogna di comporre liriche capaci di scuotere il cuore dei fratelli sardi dal loro “conformismo secolare”. Inoltre partecipa come giudice ad un concorso nazionale di poesia dialettale presieduto da Giuseppe Ungaretti, intensifica i rapporti epistolari con molti scrittori e fra questi primeggia un giovanissimo Pier Paolo Pasolini. All’età di 72 anni, nel 1950, pubblica un volumetto di poesie dal titolo “Sa Lantia” (La Lampada). Sono pagine di autentica poesia dedicate agli affetti ormai scomparsi. Le liriche sono imbevute di dolore, sono pervase da un sentimento malinconico che trova nel faticoso lavoro quotidiano i suoi momenti più ispirati e nella riscoperta della Natura e dei suoi ritmi immutabili la solidità dei valori più antichi. Però la bellezza della sua composizione è offuscata da un tono di polemica e dalla sua rabbia quando non gli viene assegnato il Premio di poesia “Grazia Deledda”. All’età di 75 anni viene colpito da una paralisi. È il 1953, e solo 4 anni dopo Antioco Casula, noto come Montanaru, il 3 marzo 1957 muore. Solo nel 1978 vengono dati alle stampe i suoi ultimi volumi “Sas ultimas canzones” (Le ultime canzoni) e “Cantigos de amargura” (Canti di amarezza).

Tra le sue poesie, una molto bella racconta in pochi versi il suo amore per il paese che lo ha visto nascere. Lo descrive con profondo sentimento dimostrando l’amore che porta nel cuore per lui. Desulo, infatti, è descritto come un paese fiero, ubicato tra castagni secolari, legato alle antiche tradizioni, generoso e ospitale verso i forestieri. I “suoi figli”, cioè gli abitanti, sono persone piene di energia, infaticabili lavoratori che, a dorso di cavalli magri, ma forti e robusti, portano in giro prodotti locali di ogni genere. E quando raggiungono paesi lontani, sebbene trascorrano una vita misera e triste, perché poveri di beni materiali, vengono riconosciuti subito e denominati come “castanzeris”, cioè venditori di castagne, la loro più grande ricchezza che la natura offre copiosamente. Ma essendo abili artigiani non vendono solo i prodotti della terra, ma anche mestoli e taglieri frutto delle loro innate abilità manuali.

Ogni parola di questo sonetto descrive la realtà desulese al tempo in cui vive Montanaru. Il testo riporta una porzione di vita della comunità. Si apre con un campo lungo, con la descrizione di un ampio panorama che radica il paese ai costumi del passato, ideali di vita ancora oggi vivi nei cuori e negli atteggiamenti degli abitanti di Desulo che hanno reso omaggio al loro Vate trasformando la casa Montanaru in un Museo Etnografico. Qui sono raccolti numerosi strumenti appartenenti alla vita e alla tradizione agro-pastorale, e al settore dell’artigianato. Sono infatti presenti oggetti e attrezzi che un tempo venivano utilizzati per la produzione del pane, per la tessitura e per la lavorazione della cera. Il museo ospita inoltre i bellissimi e coloratissimi costumi desulesi, e nella biblioteca della Casa si possono ammirare numerosi volumi scritti o raccolti dal sommo poeta Montanaru, oltre a lettere e documenti vari.

Virginia Mariane

Amante del buon cibo, di un libro, della storia, dell’archeologia, dei viaggi e della musica

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