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La misteriosa bellezza del “Cristo velato”

di | 2022-04-28T18:45:06+02:00 1-5-2022 6:35|Arte, Sezione 8|0 Commenti

NAPOLI – Si inerpica su per l’antico cardo napoletano di piazza San Domenico Maggiore, un capannello di gente silenziosa rispetta una lunga fila di quasi 2 ore. Non si batte ciglio perché si sceglie di seguire il serpentone e accedere alla via Francesco De Santis ove fu commissionata da Raimondo di Sangro, la cappella Sansevero, all’interno della quale è posta la statua del “Cristo velato”. Sembra quasi riduttivo usare il termine di statua perché nel misterioso silenzio che avvolge la cappella si entra in mistica connessione con l’Eternità. La scultura marmorea fu realizzata da Giuseppe Sanmartino, nel 1753. Ne esistono altre due copie: una nella Chiesa e convento di Santa Maria del Sepolcro di Potenza ed una nell’Abbazia di San Giovanni Evangelista di Parma.

Il committente di quest’opera fu lo scienziato e alchimista Raimondo di Sangro che originariamente doveva collocarla nel mausoleo di famiglia, sottostante la Cappella, oggi occupato  dalle “Macchine anatomiche”. L’incarico di eseguire il “Cristo velato” fu dapprima affidato allo scultore Antonio Corradini (di cui sono presenti altre sculture) che morì da lì a breve, facendo solo un bozzetto in terracotta, di quanto volesse realizzare. L’incarico passò così a Giuseppe Sanmartino, al quale venne affidato l’incarico di produrre “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”.

Sanmartino realizzò quindi l’opera dove il Cristo morto, sdraiato su un materasso, viene ricoperto da un velo che aderisce perfettamente alle sue forme. La maestria dello scultore napoletano sta nell’esser riuscito a trasmettere la sofferenza che il Cristo ha provato, attraverso la composizione del velo, dal quale si intravedono i segni sul viso e sul corpo del martirio subito. Ai piedi della scultura, infine, l’artista scolpisce anche gli strumenti del suddetto supplizio: la corona di spine, una tenaglia e dei chiodi.

Le parole di Matilde Serao, grande ammiratrice della scultura, restituisce una descrizione assai vivida del Cristo: “Sopra un largo piedistallo è disteso un materasso marmoreo; sopra questo letto gelato e funebre giace il Cristo morto. È grande quanto un uomo, un uomo vigoroso e forte, nella pienezza dell’età. Giace lungo disteso, abbandonato, spento: i piedi dritti, rigidi, uniti, le ginocchia sollevate lievemente, le reni sprofondate, il petto gonfio, il collo stecchito, la testa sollevata sui cuscini, ma piegata sul lato dritto, le mani prosciolte. I capelli sono arruffati, quasi madidi del sudore dell’agonia. Gli occhi socchiusi, alle cui palpebre tremolano ancora le ultime e più dolorose lagrime. In fondo, sul materasso sono gettati, con una spezzatura artistica, gli attributi della Passione, la corona di spine, i chiodi, la spugna imbevuta di fiele, il martello […] E più nulla. Cioè no: sul Cristo morto, su quel corpo bello ma straziato, una religiosa e delicata pietà, ha gettato un lenzuolo dalle pieghe morbide e trasparenti, che vela senza nascondere, che non cela la piaga ma la mostra, che non copre lo spasimo ma lo addolcisce”. La firma dello scultore, infine, è apposta sul retro del piedistallo, sotto il materasso: “Joseph Sanmartino, Neap. (NEAPOLIS, n.d.a.), fecit, 1753”.

Il credente, lo storico e l’attento osservatore hanno immaginato che la magistrale resa del velo abbia fomentato una leggenda secondo cui il committente, il famoso Raimondo di Sangro, avrebbe insegnato allo scultore la calcificazione del tessuto in cristalli di marmo. Da circa tre secoli, infatti, molti visitatori della Cappella, colpiti dal mirabile velo scolpito, lo ritengono erroneamente esito di una “marmorizzazione” alchemica effettuata dal principe, il quale avrebbe adagiato sulla statua un vero e proprio velo, e che questo si sia nel tempo marmorizzato attraverso un processo chimico. Invece, un’attenta analisi non lascia dubbi sul fatto che l’opera sia stata realizzata interamente in marmo, e questo è anche confermato da alcune lettere dell’epoca.

Affascinati da cotanta bellezza e magnificenza dell’opera, riconosciuta tale da Antonio Canova a Riccardo Muti, si resta in quel misterioso e mistico silenzio ad adorare il corpo nudo e crocifisso di un Cristo velato.

Claudia Gaetani

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