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La magia degli scacchi, molto più che un gioco

di | 2021-06-11T19:43:53+02:00 13-6-2021 6:30|Attualità, Sezione 7|0 Commenti

MILANO – Un mercante, un re persiano, la noia, il gioco, l’astuzia, il bianco e il nero. Nasce così la leggenda del lontano Re di Persia che commissionò a tutti i suoi sudditi (dai fachiri ai maghi, e anche saltimbanchi, veggenti e cantastorie) qualcosa che lo facesse divertire. La noia assaliva il Re e soltanto un povero mercante portò innanzi a lui una delle sue invenzioni: da una scatola, estrasse una tavola con disegnate alternativamente 64 caselle bianche e nere, vi appoggiò figure di legno finemente intagliate, 16 di colore bianco e 16 nere, si rivolse al Re e gli disse: “Potentissimo Re, le porgo questo gioco di mia modesta invenzione. L’ho chiamato gioco degli scacchi”. Poi spiegò le regole.

Trentadue piccole affascinanti figure di legno, che vedono i due giocatori sfidarsi con un unico obiettivo: quello di mettere la pedina contro il re avversario in una posizione dalla quale non può fuggire. Una danza su una scacchiera ove ogni pezzo può eseguire un movimento diverso; in ogni turno un giocatore ha la possibilità di spostare il pezzo scelto nel tentativo di attaccare e rimuovere pezzi del suo avversario, col fine ultimo di intrappolare il re. Pedoni, alfieri, cavalli, torri, regina e re si sfidano per arrivare allo scacco matto. Il Re persiano si dimostrò dapprima scettico, poi sempre più interessato e infine entusiasta. Si appassionò al gioco così tanto che i due passarono la notte a giocare.

Alla fine il Re chiese al mercante di domandare la sua ricompensa. Il mercante umilmente chiese solo dei chicchi di grano, un chicco per la prima casella, due chicchi per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta e così via, fino alla sessantaquattresima casella. Il Re rimase stupito per la richiesta e radunò la corte, diede ordini agli scribi affinché la richiesta venisse esaudita. Ma gli stessi facendo qualche rapido calcolo videro che il risultato finale sarebbe stato superiore alla quantità di grano ottenibile anche potendo coltivare tutta la superficie terreste e di ciò avvertirono il Sovrano. Allora il Re, ritenendosi ingannato dall’astuto mercante, non potendo mantenere la promessa e per non sottrarsi alla parola data, fece mozzare la testa all’inventore del “gioco degli scacchi”.

Questa leggenda racconta l’astuzia dietro il “nobil giuoco”, che insegna che nella vita non c’è mai niente di scontato, sia guardando al mercante che credeva di raggirare il re, sia per il Re che avrebbe perso un patrimonio. Nel Medioevo la leggenda, conosciuta col nome di “Duplicatio scacherii”, fu citata anche dal sommo Dante, nel canto XXXVIII del Paradiso, versi 91-93, per dare al lettore un’idea dell’immenso numero di Angeli presenti nei cieli: “L’incendio suo seguiva ogni scintilla ed eran tante, che ‘l numero loro più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla”, per spiegare appunto agli uomini la gran quantità di angeli presenti in cielo, elevati all’ennesima potenza, come i chicchi di grano voluti in ricompensa negli scacchi dal mercante.

Oltre la leggenda, le origini degli scacchi si perdono nella notte dei tempi, esistono varie teorie ma l’ipotesi più accreditata pone il luogo d’origine in India. Il gioco raggiunse l’Europa probabilmente nel XI secolo tramite gli Arabi, diffondendosi soprattuto in Italia e in Spagna. Con una carrellata di ipse dixit, oltre il sommo poeta tanti tra filosofi, scrittori artisti e scacchisti hanno raccontato così degli scacchi: per il filosofo Blaise Pascal “gli scacchi sono la palestra della mente”; “ci sono più avventure su una scacchiera che su tutti i mari del mondo”, scrisse Pierre Mac Orlan; un proverbio russo racconta che si impara a conoscere bene la gente viaggiandoci insieme e giocandoci a scacchi. Nei sogni di Antoine de Saint-Exupéry “giocare a scacchi è come essere sospinto fuori dal tempo“; infine Garry Kimovic Kasparov, tra i più grandi scacchisti del mondo, disse: “Gli scacchi sono considerati un simbolo universale di intelligenza e complessità, raffinatezza e astuzia. Eppure l’immagine del tipico giocatore di scacchi continua a essere quella di un eccentrico che a volte rasenta la psicosi”.

Fascino, astuzia e sapienza raccontano questo mondo così piccolo che può essere manovrato dall’uomo dall’alto che dovrà prevedere ogni sua mossa e quella dell’avversario non lasciando nulla al caso, sapendo che vincendo avrà sopraffatto l’altro e perdendo potrà ridimensionare la sua individualità.

Claudia Gaetani

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