PERUGIA – “A cosa non spingi l’animo dell’uomo, maledetta fame dell’oro!”. Per dirla con il Virgilio dell’Eneide: “auri sacra fames”. Cioè esecranda, infame, abominevole, spregevole, biasimevole, indegna: scegliete voi la traduzione che più vi aggrada. Simbolo di avarizia, di accumulo ossessivo, compulsivo, del prezioso metallo. Publio Licinio Crasso, forse l’uomo più ricco della sua epoca (non manca chi sostiene di sempre), ne era così attratto che, una volta sconfitto (battaglia di Carre, in Mesopotamia, 53 aC) e fatto prigioniero si vide punire in modo terribile: i nemici vincitori, i parti del re Orode, gli versarono in bocca – ma è probabile che fosse già morto – oro fuso. Tuttavia questa cattiva fama l’oro non se la merita. Non “in toto”, almeno.

Publio Licinio Crasso
Alle Olimpiadi tutti lo inseguono, lo sognano, lo bramano. Il ciclista italiano Filippo Ganna, nella prima gara in assoluto dell’evento sportivo di Parigi, la cronometro, si è aggiudicato l’argento pedalando meno (14″9, il distacco) del belga Remco Evenepoel (il vincitore) e scrollando la testa ha confessato: “Volevo l’oro!”. Lui come tutti gli atleti in gara. C’è chi l’ha ottenuto in modo insperato, quasi miracoloso, come Niccolò Martinenghi, ranista, partito nella finale dei 100 in settima corsia, una di quelle riservate, in genere, ai “parenti poveri” ed invece primo, e con merito, al tocco finale… E lo desiderano ardentemente non solo per il suo valore intrinseco: 525 grammi del prezioso metallo (grosso modo, dipende dalle oscillazioni di mercato, intorno ai 25mila euro), più altri 6 di placcatura, oltre ad un pezzetto di ferro proveniente dai lavori di restauro della Tour Eiffel ed incorporato alle medaglie. I francesi ne hanno coniate 329 nella zecca della fonderia di Rue Guénégaud: “La Monnaie”, VI Arrondissement sulla riva sinistra della Senna.
Questo metallo, infatti, rappresenta un bene rifugio: ieri, oggi e, forse, pure nel futuro. Gli stessi Stati ne fanno incetta. La Francia, che pure non ha miniere, almeno attive, nel proprio territorio, ne possiede qualcosa come 2.436 tonnellate (quasi tutto proveniente dal Mali). La Cina, la Russia, l’Australia, il Canada, gli Usa sono – nell’ordine – i paesi che ne accumulano di più. Secondo conteggi di esperti del settore, la disponibilità complessiva – non chiedetemi con quali parametri siano stati eseguiti i calcoli – sia di 208.874 tonnellate in tutto il mondo, banche centrali e cittadini compresi. Già perché anche ciascuno di noi ne porta addosso almeno qualche grammo (la fede, una catenina, un braccialetto, un orologio, magari).

Gian Marco Tamberi con la moglie Chiara Bontempi
Alcuni ne fanno uno sfoggio pacchiano. Trimalcione, talvolta, impazza anche ai nostri giorni. Qualcun altro lo smarrisce: nella foga dei festeggiamenti sul “bateau mouche”, in sfilata sulla Senna, il nostro alfiere Gian Marco Tamberi, detto Gimbo, campione del salto in alto, ha perso la sua vera di nozze! Per giustificarsi con la moglie, il saltatore ha proposto: “Getteremo nel fiume anche la tua e ci risposeremo…”. Il 17% del totale di questo nobile elemento si trova, protettissimo (pensate a Fort Knox, Usa) nei bunker delle banche centrali e nei grandi istituti bancari commerciali. Attraverso i secoli l’oro è stato cercato (chi non rammenta la tumultuosa “febbre dell’oro” dell’Ottocento nel Far West?) e scavato (una delle condanne più pesanti nell’antica Roma, e non solo, era quella “ad metalla”, cioè nelle miniere) nel Mar Nero, negli Urali, nel Caucaso, in Spagna, in Africa (Nubia, Sud Africa), Messico, Australia e Nuova Zelanda.

Fort Knox

Alla ricerca dell’oro…
Buono o cattivo, insomma, non è l’oro in se stesso, ma l’uso che l’uomo ne fa, ne ha fatto, ne farà. Ieri, come oggi, come domani.
Elio Clero Bertoldi
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