Gino è un cinquantenne e la sua vita si divide tra il lavoro e la famiglia. Gestisce una bottega di macelleria al mercato di Porta Palazzo a Torino. Si sveglia all’alba ogni giorno e compie gesti abitudinari: il tragitto in macchina fumando una sigaretta (rigorosamente una Nazionale senza filtro), parcheggia sempre allo stesso posto, poi le chiacchiere e il caffè con gli altri commercianti, la sistemazione del banco (mettendo in evidenza con modi sicuri i tagli più apprezzati). Si arriva così all’orario in cui i clienti più mattinieri (gli anziani) arrivano per gli acquisti: non hanno grandi faccende da sbrigare, ma sono sempre i primi a fare spesa. La vita scorre tranquilla e sempre con un occhio particolare per il figlio ventenne. Le uniche variazioni per le vacanze al mare, in Liguria. Ma sono una parentesi perché il pensiero corre sempre al negozio: chissà se l’aiutante sta facendo tutto bene come gli ha meticolosamente insegnato…
Lui, Gino, “disossa, taglia, porziona, ordina, dissangua, decapita, prepara, spolpa, pulisce”. E lo fa praticamente da sempre, ogni giorno per decine volte con gesti sicuri, ordinati, precisi. Ma quella volta no, le cose vanno diversamente, chissà perché. Il coltello invece di aggredire soltanto la carne dell’animale, va ad infierire anche sulla mano del macellaio, recidendo quasi del tutto un dito. In ospedale, i medici con un mezzo miracolo riescono a riattaccarlo. Qualche strascico nella funzionalità rimane, ma tutto sommato può continuare a svolgere regolarmente il suo lavoro. Eppure qualcosa cambia: comincia ad accusare un po’ di spossatezza, spesso si sente stanco e non ne capisce il motivo, visto che la fatica non gli ha mai pesato. Minimizza, cerca di sottrarsi alle domande di chi gli sta vicino, procrastina la visita dal medico di famiglia: tanto prima o poi passa.
E invece, i sintomi non solo si intensificano, ma diventano anche più pesanti e così diventa inevitabile il confronto col dottore. Che prescrive qualche “ricostituente” (allora, primi anni Settanta, si chiamavano così, oggi si usano gli integratori…) e soprattutto una serie di esami e di analisi. L’esito è sconvolgente: un brutto batterio gli è entrato nel corpo e sta cominciando a far danni. Probabilmente ha contratto l’infezione proprio quando si era fatto male in macelleria. La diagnosi precisa è linfosarcoma, un termine che né Gino, né i familiari, né gli amici capiscono bene che significa, ma tutti intuiscono che la faccenda è seria. Il dottore indica la vincristina come unico farmaco efficace in questi casi. Ma dà un ulteriore consiglio: meglio rivolgersi ad una clinica privata di Villejuif alle porte di Parigi, il miglior centro in Europa per combattere quel male.
Comincia così un nuovo capitolo, l’ultimo, nella vita di Gino: viaggi sempre più frequenti, aereo, treno, esami, prelievi, trasfusioni e l’immancabile vincristina. Al suo fianco resta sempre la moglie, che prova come può ad incoraggiare, a sostenere quell’omone che mai in passato aveva dato qualche pur timido segnale di cedimento. E c’è anche il figlio che assiste un po’ in disparte, ma pienamente coinvolto sul piano emotivo. Anzi è proprio lui, ventenne bravo a scuola, ad osservare l’inesorabile disfacimento di quel corpo forte e battagliero. Non può farci niente, nemmeno i medici. Si rincuora quando il papà torna dalla Francia e lo vede più tonico, anche più sorridente: è l’effetto dei massicci interventi farmacologici e delle trasfusioni che lavano e rinnovano il sangue ormai infetto. Ma si deprime quando, dopo qualche settimana, tornano a farsi sentire la stanchezza e i dolori in tutto il corpo.
Dario Voltolini racconta in “Invernale” (edito da La Nave di Teseo, uno dei libri finalisti del Premio Strega 2024) il travaglio di quel ragazzo con partecipazione e delicatezza. Senza cedere ai facili sentimentalismi, ma sviscerando sensazioni e accadimenti con occhi privi di difese. Gino, per carità, prova pure a lottare e a combattere: continua a vedere in tv le partite della Nazionale, fuma le sue sigarette senza filtro, ammira sempre il grande Sivori, programma le battute di caccia con gli amici. Ma qualcosa si è rotto e non è più riparabile. I viaggi in Francia sono sempre più frequenti e, al rientro, i giorni in cui sta un po’ meglio sono sempre di meno. Quel ventenne immerge lo sguardo nella carne del padre che si deteriora nella malinconia del congedo. Sembrano distanti perché tra loro di parole ce ne sono state sempre poche, ma li avvolge un’intimità che sconvolge e che non ha bisogno di frasi: bastano gli sguardi.
E’ un romanzo coinvolgente e commovente, di sentimenti profondi: non c’è pietismo e nemmeno retorica. La banalità del dolore, umana quando si sa che il proprio genitore sta per andarsene per sempre, si stempera nei ricordi, quelli più semplici, andati a scovare nelle pieghe di giornate in cui si cerca di intravedere qualche spiraglio di speranza. Voltolini descrive in maniera ineccepibile il momento in cui per il padre cambia tutto, quell’istante in cui egli ha cessato di essere il macellaio che ogni mattina si sveglia all’alba e fa lo stesso tragitto con l’auto per andare al mercato di Porta Palazzo e aprire bottega, in una Torino malinconica e triste (come sempre, del resto) degli anni Settanta. L’uomo che, alle prese con la malattia, perde la quotidianità della sua vita. Non potrà più fare le “cose normali” dal momento in cui la vincristina inizierà a entrare nelle sue vene e a combattere contro il linfosarcoma.
L’ultimo viaggio è solo un tributo alla speranza. Gino parte in condizioni pietose e lì a Villejuif, dopo qualche tentativo, arriva la frase fatale alla moglie e ad una parente che li ha accompagnati: “Portatelo via, non c’è più nulla da fare”. Il ritorno lo fanno in ambulanza, ma quell’uomo forte e coraggioso spira durante il tragitto e arriva già cadavere a Torino. E al figlio, che aspetta a casa resta, solo il racconto degli ultimi istanti: “Ci guardiamo, lei e io, in silenzio. Poi lei mi dice che lui mentre moriva ha detto: salutatemi Dario”.
Gino era il papà di Dario Voltolini.
Buona domenica.
Nell’immagine di copertina, Dario Voltolini, autore di “Invernale”
Grazie Nicola.