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Il rinoceronte nero rischia di sparire

di | 2025-10-12T00:56:23+02:00 12-10-2025 0:35|Attualità, Sezione 8|0 Commenti

ROMA – Un terzo del Parco Nazionale Etosha, simbolo della Namibia, il 22 settembre è stato distrutto dalle fiamme. “Abbiamo subito un duro colpo, sia per la fauna che per la flora. Il recupero è possibile, ma richiederà un po’ di tempo”, dichiara Sikongo Haihambo, direttore esecutivo del Ministero dell’Ambiente, delle Foreste e del Turismo. A distanza di giorni, resta ancora grande paura per la fauna selvatica che popola l’area, ma la preoccupazione maggiore è per i rinoceronti neri della riserva, considerati in forte pericolo d’estinzione già da tempo.

Rinoceronte nero nell’Etosha National Park

La causa dell’incendio resta ancora incerta, ma si impotizza una connessione con le attività di lavorazione del carbone. Sembrerebbe che le fiamme siano divampate in un sito di produzione non troppo distante dai confini del Parco Etosha. Tuttavia, le indagini sono ancora in corso. Accorsi in aiuto, nella zona sud-occidentale della riserva, quasi 600 soldati, vigili del fuoco, agenti di polizia, volontari, due elicotteri e altri mezzi antincendio. Nessuna vittima tra gli abitanti del luogo e tra chi ha prestato soccorso. Purtroppo, però, sono state numerose le segnalazioni di carcasse di antilopi e animali bruciati dal rogo.

Migrazione delle zebre nella savana namibiana

Stato di emergenza Il governo ha annunciato lo stato di emergenza. “Il fuoco pone una sfida enorme alla conservazione, aggravando un contesto già fragile”, giunge voce dal Ministero. La distruzione del 30% dei pascoli è apparsa, sin da subito, come un problema, soprattutto per gli erbivori sopravvissuti, che saranno costretti a spostarsi per cercare cibo altrove. Sono circa 775.165 ettari quelli diventati cenere, secondo il ministro dell’Ambiente, delle Foreste e del Turismo, Indileni Daniel. L’incendio è stato spento dopo una settimana di lavoro di squadra, lottando con roghi propagati fino alle regioni di Omusati e Oshana.

Complici la siccità, i terreni secchi e il forte vento, che hanno aiutato le fiamme a divampare nel Parco Etosha, raggiungendo limitrofe aree agricole. L’appello fatto dalle autorità namibiane all’Onu, proprio nei giorni iniziali del rogo, resta più vivo che mai: “Il cambiamento climatico sta bruciando le nostre terre e prosciugando i nostri fiumi”. Per la presidenza della Namibia, l’incendio è “una minaccia significativa per la biodiversità, la fauna selvatica e i mezzi di sussistenza delle comunità nelle aree colpite”, che del pascolo e del turismo ne fanno tesoro. A risentirne, in primis, le attività di monitoraggio e sorveglianza degli animali della riserva, ma anche la salute di chi vive nei pressi del parco. La dispersione del fumo e il rischio di incendi secondari non sono mai da sottovalutare.

Etosha National Park

Il Parco Etosha, che si estende per 22.935 chilometri quadrati nel nord della Namibia, è tra le più grandi riserve d’Africa. Fondato nel 1907, quando la Namibia era una colonia della Germania e si chiamava “Africa Tedesca del Sud-Ovest”, il Parco Nazionale Etosha era la più grande riserva faunistica del mondo, ridimensionato poi, negli anni ’60, fino a raggiungere l’estensione attuale. L’Etosha ospita al suo interno ben 340 varietà di uccelli e 114 specie di mammiferi. Ma oltre ad elefanti, giraffe, gnu, iene, leoni, sciacalli e zebre, vivono anche 110 tipi di rettili e 16 specie di anfibi. Sono presenti persino alcune varietà di pesci.

Leoni nella savana namibiana

Nella stagione delle piogge, l’Etosha diventa anche la casa di centinaia di stormi di uccelli migratori come aironi, fenicotteri e pellicani, grazie all’elemento più iconico del parco, la sua antica salina: l’Etosha Pan, che occupa il 25% dell’intera riserva. Etosha, in lingua oshiwambo, significa “grande luogo bianco” e prende il nome dal tipico colore del deserto salino nella stagione secca. La leggenda narra che quando venne distrutto un villaggio dei San, i boscimani che da tempi antichi abitavano quelle terre prima che arrivassero gli Ovambo (etnia attuale predominante dell’Etosha), tutti gli uomini furono uccisi. Una donna pianse così a lungo che le sue lacrime formarono un enorme lago e, quando le sue lacrime si asciugarono, in terra rimase soltanto il sale. Ma è uno dei “Big Five” della savana il protagonista assoluto della riserva namibiana: il rinoceronte nero, da anni bersaglio dei bracconieri e in “pericolo critico di estinzione”.

Rinoceronte nero (Diceros bicornis bicornis)

Il rinoceronte nero e la lotta al bracconaggio Il rinoceronte nero, per quasi tutto il XX secolo, è stato la specie di rinoceronte più numerosa fino agli inizi degli anni ’90, quando i bracconieri ne uccisero circa il 96% della popolazione. Una recente politica dell’AfRSC (African Rhino Specialist Group) è quella di non diffondere informazioni dettagliate sulla precisa distribuzione geografica dei rinoceronti, indicando solamente gli Stati in cui si trovano. Se in tempi lontani il rinoceronte nero viveva in Namibia, nel sud dell’Angola, in Botswana e in Sud Africa, ora si trova solo in Namibia, dove c’è la maggiore concentrazione di Diceros bicornis bicornis, e in Sud Africa, anche se i ranger stanno lavorando per reintrodurlo pure in Botswana, Malawi, Swaziland e Zambia, grazie ad efficaci programmi di salvaguardia.

Rinoceronti bianchi (Ceratotherium simum simum)

Il rinoceronte nero è solitario, ha una vista scarsa ed è estremamente aggressivo. Se minacciato, tiene la coda alta e dritta. Ha un peso inferiore rispetto al rinoceronte bianco, orecchie più piccole, corni più accentuati e protesi frontalmente (nel bianco tendono verso il muso) e tiene la testa in alto. Il labbro superiore del rinoceronte nero, a forma triangolare, è perfetto per strappare foglie e rami che riesce a spezzare anche grazie ai corni, spesso affilati contro termitai, tronchi o rocce e usati anche per togliere le zecche dal proprio cucciolo o per scavare alla ricerca di acqua o radici. Una particolarità che accomuna le due specie? Entrambe sono grigie. Il rinoceronte bianco, in afrikaans “wijde” per il “largo” labbro adatto a mangiare l’erba, erroneamente, in inglese, è stato chiamato “white”. Così, l’altro rinoceronte diventò il “black”, ma la distinzione non ha nulla a che vedere con il colore dell’animale.

Da anni i bracconieri s’impadroniscono dei loro corni, costituiti di cheratina e con un deposito di calcio nella parte centrale. I corni non hanno un collegamento osseo e nemmeno terminazioni nervose, perciò vengono tagliati con il panga, un lungo machete dalla lama larga. Ritenuti afrodisiaci in Paesi come Cina, Thailandia e Vietnam, spesso vengono usati in polvere come rimedio dopo una sbronza, ma anche per cure miracolose contro il cancro, l’impotenza, il raffreddore e la febbre. In Medio Oriente, invece, i corni dei rinoceronti sono usati per decorare gli jambiya, i pugnali da cerimonia.

Jambiya, pugnale a lama corta e ricurva

Il 22 settembre è la giornata mondiale del rinoceronte ed è proprio il 22 settembre che si è propagato l’incendio nel regno dei rinoceronti neri e bianchi, il Parco Etosha, già in ginocchio per la piaga del bracconaggio. Purtroppo, non c’è recinzione al mondo che possa fermare le intenzioni dei bracconieri, ma leggi internazionali e varie organizzazioni cercheranno di tutelare, sempre più, le due specie di rinoceronte presenti in Africa, il Diceros bicornis (nero) e il Ceratotherium simum (bianco), entrambi discendenti dall’Indricotherium, il più grande mammifero terrestre mai esistito.

Come scrisse nel 2018, in un suo libro, Davide Bomben, presidente dell’Associazione Italiana Esperti d’Africa e istruttore capo in Namibia della Poaching Prevention Academy per l’antibracconaggio, “c’è ancora molto da fare. Le vite più in pericolo, in Africa, sono proprio quelle degli animali, e a noi ranger spetta il compito di salvarle”. Tra credenze popolari e coincidenze del fato, una sicurezza c’è: i ranger, che lavorano per difendere gli animali nella savana africana, continueranno con tutte le loro forze a proteggere i rinoceronti e gli altri animali come loro figli. Sulla pista degli elefanti.

Alice Luceri

Nell’immagine di copertina, animali della savana namibiana durante la stagione secca

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