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“Imperformance”, sette storie sulla temibile endometriosi

di | 2025-05-30T10:29:44+02:00 25-5-2025 0:20|Sezione 5, Spettacolo|0 Commenti

ROMA – Anche non stare sempre al massimo, sentirsi male ed essere per questo scostanti può essere un motivo per volersi più bene, accettarsi e farsi accettare. Anche l’imperfezione può fare spettacolo, sì, e la fragilità può tirare fuori il meglio di noi. Succede in “Imperformance”, spettacolo il cui titolo nasce dalla crasi di “imperfezione” e “performance”, una fusione solo apparentemente ossimorica: in realtà contiene delle meravigliose sorprese. Alla sua terza replica e pronto per la quarta a Castel San Pietro il prossimo 6 luglio, il cast è composto da un tipo molto particolare di attrici: sono donne che, guidate dalla loro psicoterapeuta, portano una malattia femminile semisconosciuta sul palcoscenico, la spiegano, la trasfigurano e ne fanno arte.

La loro vita è stata sconvolta dall’endometriosi, brutta parola per indicare quello stato infiammatorio dei genitali che causa dolori fortissimi e può condizionare molto, debilitare, impedire di fare figli. Ognuna la racconta a suo modo, ne svela i lati oscuri che rendono la donna affetta a volte lunatica, stramba, asociale. Così questo disagio – finora solo motivo di sofferenza, vergogna ed emarginazione – diventa una magnifica catarsi. Diventa arte. E mentre il pubblico si commuove e partecipa alle sofferenze, le coraggiose protagoniste si confessano liberandosi dal peso, rinascono a nuova vita, si sentono – fatto nuovo – non solo normali ma addirittura speciali.

Ad avere questa idea è stata Sona Haroni, la psicoterapeuta che ha proposto alle sue pazienti – le sette attrici – di svelare pubblicamente ciò che per tutta la vita le aveva fatte sentire diverse. Lei stessa, che è affetta da questa patologia, è tra le eroine che ci hanno messo la faccia: nell’ultima replica alla Fonderia delle Arti, dove “Impeformance” è stato portato in collaborazione di Tech4Fem, il marito l’ha raggiunta sul palco con in braccio la loro bambina appena nata. In quel momento finzione e realtà si sono fuse a dimostrazione di come, volendo, la vita possa essere vissuta in tutte le sue fasi anche con “quel” problema che rende difficile la gravidanza.

E così, replica dopo replica, Annamaria si racconta attraverso momenti “fermati” con delle polaroid ma non solo. Per dare bene l’idea entrano in scena il marito e i suoi cani. Maria Letizia cuce su tela le ferite del corpo che diventano stelle del cielo. Le stesse ferite Alessandra, gallerista di professione, le descrive con i “tagli” famosi di tre artisti: Lucio Fontana, Frida Khalo e Marina Abramovic. Francesca risponde a domande e diagnosi cliniche affidate a voci fuori campo, come un coro greco. Sabrina materializza la voglia di liberarsi del fastidio di un addome dolente e gonfio prendendo da un sacco oggetti che tira al pubblico. Sono le vessazioni della gente che non sa: indiscrezione, invadenza, giudizio. E ancora, Valeria si addormenta per svegliarsi in uno strano Paese delle Meraviglie dove tutto somiglia molto all’endometriosi e ogni personaggio simboleggia un organo del suo corpo afflitto.

Sul palcoscenico, mentre lo spettacolo cresce con le storie scritte da ognuna di queste splendide donne, si compie uno dei miracoli di cui solo il teatro è capace. Lo racconta Alessandro Camilli, artista a tutto tondo che stavolta, nella veste di regista, dice di aver partecipato soprattutto emotivamente a tanta insolita creatività. “Da una replica all’altra – osserva – ho visto queste donne trasformarsi, volare e diventare forti mentre impersonavano se stesse, a testa alta, davanti al pubblico: una vera magia cui sono felicissimo di aver contribuito ma, soprattutto, assistito”. La gioia sui volti delle attrici – ora lo sono davvero – dopo ogni spettacolo dice quanto sia indispensabile divulgare e dare informazioni su una patologia tra le più diffuse ma di cui si parla poco. In Italia ne soffre una donna su dieci e nel mondo se ne contano centonovanta milioni di casi ma questa urgenza non basta a formare personale medico specializzato e una mentalità più accogliente.

Il progetto di Sona Haroni si pone l’obiettivo di far conoscere il problema, di sensibilizzare le istituzioni al suo riconoscimento affinché si accorcino i tempi per la diagnosi limitando così i danni arrecati al corpo rimasto senza cura. Vuole, però, anche rassicurare chi ne soffre che la felicità non è nella perfezione fisica. Quella, al contrario, è solo apparenza e le sette donne sul palco hanno emozionato il pubblico proprio dimostrando che la gioia può nascere anche da un corpo sofferente, e il dolore può sublimarsi anche con una esibizione non proprio professionale.

In poche parole, lo spettacolo può essere più efficace, emozionante, vero, proprio perché si tratta, appunto, di una splendida “Imperformance”.

Gloria Zarletti

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