//Quel murale di Nettuno tra storia e leggende

Quel murale di Nettuno tra storia e leggende

di | 2021-10-24T13:42:01+02:00 24-10-2021 7:00|Punto e Virgola|0 Commenti

Un grande murale, alto una trentina di metri e disegnato su un palazzo che si affaccia sul lungomare: è il dono che l’artista spagnolo Kraser ha fatto a Taranto e ai tarantini. L’opera rappresenta Taras, semidio greco, ritenuto il “padre putativo” della città, visto che la leggenda gli affida il ruolo di fondatore. Circa 2000 anni prima di Cristo, Taras sarebbe giunto in questa regione con una flotta, approdando presso un corso d’acqua che poi da lui stesso avrebbe preso il nome: il fiume Tara, appunto. Mentre sulle rive dello Ionio Taras compiva sacrifici per onorare suo padre Poseidone (dio del mare, poi diventato Nettuno per i Romani), gli sarebbe apparso improvvisamente un delfino, segno che avrebbe interpretato di buon auspicio e di incoraggiamento per fondare una città da dedicare a sua madre Satyria o a sua moglie Satureia e che chiamò quindi Saturo, località tuttora esistente e sede di un imponente Parco archeologico.

Alcuni secoli più tardi, esattamente nel 706 a.C., racconta lo storico Eusebio di Cesarea, in quello stesso luogo approdarono i coloni Parteni (provenienti da Sparta e guidati da Falanto) che, sottratto il territorio agli Iapigi, fondarono più tardi la città che chiamarono Taranto proprio in onore di Taras. Insomma, la capitale di quella che fu poi conosciuta come Magna Grecia nacque ad opera di esuli spartani, migranti come si direbbe oggi. Ma anche intorno a Falanto è fiorita una leggenda che vale la pena ricordare. Quel valoroso guerriero aveva condotto gli Spartani alla vittoria contro i Messeni. Dopo quella guerra, però, a Sparta si scatenarono vigorose proteste: i Parteni reclamavano il riconoscimento dei diritti civili, ma venivano osteggiati. Era accaduto che, durante il conflitto, le donne spartane si lamentavano perché non potevano procreare essendo i loro uomini impegnati al fronte. Alcuni dei soldati, gli Spartiati, furono allora richiamati in patria allo scopo di incrementare le nascite: i nati dall’accoppiamento degli Spartiati con le spartane non sposate vennero chiamati “Parteni” (cioè “figli di vergini”), ma a loro non furono riconosciuti diritti politici perché ritenuti figli illegittimi. I Parteni, non avendo molte speranze di essere considerati al pari degli altri compatrioti, preferirono quindi trasferirsi altrove. A capo di questo gruppo di fuoriusciti c’era proprio Falanto, pronto a cominciare una nuova vita con i suoi compagni.

Durante la traversata in mare, a causa di una tempesta la nave fece naufragio. Ma un delfino giunse in soccorso di Falanto e lo portò a riva. Da qui il capo dei Parteni coordinò i soccorsi; la nave fu riparata alla meglio fino a quando fu pronta a ripartire. Per molto tempo i Parteni navigarono senza meta e Falanto fu persino tormentato dal dubbio che il sogno di trovare una nuova terra non potesse mai realizzarsi. Lo consolava la moglie Etra che ne raccoglieva le paure e le preoccupazioni. In un momento di grande sconforto, la donna cominciò a piangere e furono proprio le sue lacrime a risvegliare Falanto che si era addormentato sulle sue gambe. In quel momento la nave si trovava nel golfo di Saturo, alla foce del fiume Tara, ed è qui che fondarono una nuova città sottraendo le terre agli Japigi. La chiamarono Taranto in onore di Taras, l’eroe che secoli prima era giunto in quegli stessi luoghi.

L’artista spagnolo Kraser

Per queste ragioni nello stemma della città, riconosciuto ufficialmente il 20 dicembre 1935 attraverso un regio decreto, è raffigurato un dio greco che attraversa il mare a cavallo di un delfino: qualcuno identifica quella figura con Taras, altri con maggiore aderenza alle fonti storiche con Falanto che, al di là delle leggende, fu il reale fondatore della città insieme agli altri esuli spartani.

Lo stemma di Taranto

Tornando ai giorni nostri nostri, Kraser (spagnolo di Cartagena di 44 anni) è uno street artist tra i più famosi. Ha partecipato a numerose mostre nazionali e internazionali e ai più importanti festival di arte urbana del mondo. Nelle sue opere reinterpreta sculture classiche, rinascimentali e neoclassiche, a cui sovrappone figure, colori e geometrie che danno vita a un dialogo tra mondo antico e creazione contemporanea. Insomma un artista completo, il cui lavoro va ad impreziosire senza ombra di dubbio un angolo della città. Ma anche in questo caso le polemiche non sono mancate perché il murale riprende in larga misura la statua bronzea del Giambologna che campeggia sulla omonima fontana, una delle immagini più rappresentative di Bologna (cosa c’entri il capoluogo emiliano con Nettuno e il mare resta comunque tutto da capire…). Una scelta giudicata “inappropriata” dai puristi perché del tutto estranea alla cultura e alla storia di Taranto e ritenuta, invece, un doveroso omaggio al dio del mare , in una città che di mari ne può vantare addirittura due: quello Grande (cioè il golfo vero e proprio) e quello Piccolo (un’insenatura poco estesa, ma ricca di angoli davvero incantevoli).

Come che sia, quel murale campeggia imponente ed è ben visibile anche a chilometri di distanza. Che possa diventare il simbolo moderno della città dove chi scrive ha vissuto per decenni sin dall’età di 20 giorni e dove ha lasciato davvero il cuore? Lo dirà il futuro…

Buona domenica.

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