PALERMO – «Da quando l’uomo esiste ha sempre organizzato la guerra, è arrivata l’ora di organizzare la pace». Sono parole di don Oreste Benzi, il prete romagnolo fondatore della Comunità ‘Papa Giovanni XXIII’, a cui si deve la richiesta di istituire un Ministero della Pace, formulata una prima volta nel 1994, durante il sanguinoso conflitto nell’ex Jugoslavia, e poi formalizzata nel 2001 con una lettera all’allora Presidente del Consiglio: «Di tanti ministeri esistenti, avrei voluto che lei ne avesse aggiunto un altro: il Ministero della Pace… Questo ministero dovrebbe coordinare una politica di pace di tutti i ministeri esistenti; un ministero trasversale per organizzare la pace». Il testo Ministero della Pace: una scelta di futuro, a cura di Laila Simoncelli (Ed. Sempre, Rimini, 2024) raccoglie appunto una serie di contributi che spiegano e appoggiano la richiesta profetica di don Benzi.

Don Oreste Benzi
Perché dunque un Ministero della Pace? Perché sancirebbe un cambio radicale di paradigma, un segno tangibile dell’abbandono della logica mortifera e nefasta del principio si vis pacem, para bellum (‘se vuoi la pace, prepara la guerra’) per abbracciare invece la nuova logica ‘se vuoi la pace, progetta la pace’. Allora: “Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi istituzionali, di una nuova architettura ministeriale per una vera costruzione strutturale di politiche di pace”. Perché la pace va pensata e resa possibile, nella consapevolezza che l’oscenità della guerra, anche se spesso ritenuta inevitabile, è in realtà una costruzione umana, frutto del primato della violenza bruta sulla diplomazia e sul dialogo. Infatti “il conflitto può essere sia fonte di violenza, sia di crescita costruttiva: decisivo è il modo con cui lo si affronta e decisivo è quanto i governi investono su una gestione nonviolenta e generativa”.
Nel libro c’è un continuo richiamo alla Costituzione italiana: nel ricordare l’art.11 (L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo) si evidenzia che in esso vengono usati tre verbi fondamentali – ripudiare, consentire, promuovere – il terzo dei quali deve però ancora trovare piena attuazione.

Mao Valpiana e il Movimento nonviolento a piazza san Pietro
Mao Valpiana, attuale presidente del Movimento nonviolento italiano, sottolinea che la difesa personale e collettiva è al centro della campagna nonviolenta Un’altra difesa è possibile, con la proposta legislativa per il riconoscimento della Difesa civile non armata e nonviolenta, che si propone di introdurre nelle nostre Istituzioni uno strumento di difesa capace di mettere in campo capacità di prevenzione, di mediazione e di risoluzione dei conflitti: “La proposta tende al riconoscimento legislativo, oltre che culturale, politico e giuridico, di una Difesa nonviolenta basata sulla prevenzione dei conflitti per assolvere al dovere costituzionale di difesa della Patria (art.52) nell’ottemperanza del ripudio alla guerra (art.11)”.

Il professor Sergio Tanzarella
Nell’articolo Educare alla pace, il professore Sergio Tanzarella afferma che, prima di tutto, oggi è necessario “lo smascheramento della guerra con le sue mistificazioni, le sue menzogne, la sua propaganda e la sua dichiarata e indiscutibile inevitabilità”. (…) Dobbiamo decostruire mondi e culture che hanno vincolato l’esistenza umana alla guerra e alla contrapposizione al nemico. Il primo modo per affrontare questo nodo è innanzitutto la demistificazione di tutto il passato e della propaganda su cui si fondano le ragioni della guerra. Il che significa anche abbandonare il linguaggio militaresco”.
Tanzarella propone quindi una sorta di decalogo con cui costruire un’educazione alla pace ispirata alla nonviolenza che, ribadisce, non è la semplice negazione della violenza, ma si pone “in modo autonomo e autorevole come alternativa alla rassegnazione della inevitabilità della violenza. Non collaborare al male, rifiutare che il fine giustifichi i mezzi, assumere su di sé la punizione di una legge ingiusta, non sottrarsi alla persecuzione e non coltivare risentimento e vendetta (…). Interrompere, in una parola, il circuito simmetrico della violenza assumendo l’asimmetria della nonviolenza come forza in grado di rivoluzionare la storia”.

Giulia Zurlini
Giulia Zurlini (impegnata col Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII) ci informa dell’esistenza dei Corpi Civili di Pace (CCP): una sorta di “Esercito della Pace” costituito da persone che entrano in aree di conflitto come terze parti al fine di proteggere i diritti umani e i civili direttamente colpiti dalla guerra, prevenendo l’escalation del conflitto e costruendo soluzioni nonviolente con strumenti nonviolenti: “I CCP sono nati proprio grazie ai movimenti di base, agli obiettori di coscienza e ai gruppi di cittadini attivi che non si sono arresi all’impotenza di non sapere come agire di fronte al mostro della guerra. (…) Questo cambio di approccio (…) ha bisogno di tutto il sostegno possibile, ha bisogno che anche le Istituzioni effettuino questo cambio di paradigma”.

Raffaele Crocco
Il testo si conclude con la Dichiarazione sulla Fraternità umana, scritta e firmata da vari premi Nobel e da rappresentanti di Organizzazioni internazionali insignite dal Nobel per la Pace, pronunciata a Roma a piazza san Pietro il 10 giugno 2023 durante il primo Meeting Mondiale della Fraternità Umana. In tale accorata dichiarazione si legge, tra l’altro: “Non più la guerra! È la pace, la giustizia, l’uguaglianza a guidare il destino di tutta l’umanità. (…) Incoraggiamo i Paesi a promuovere sforzi congiunti per creare società di pace, come ad esempio l’istituzione di un Ministero per la pace”.
Perché, come scrive Raffaele Crocco, giornalista e direttore del progetto “Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo”: “La pace non è questione di diventare più buoni, ma più intelligenti. Il Ministero della Pace è il luogo di questa convenienza e intelligenza. Si tratta di pensare con lucidità il modo di comunicare l’intelligenza e la convenienza del Ministero della Pace per dare corpo ad un vero progetto politico alternativo”.
Maria D’Asaro
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