Ma quanto sono delicati i nostri millennials… Addirittura vanno in ansia al solo pensiero che le vacanze natalizie sono finite il 6 gennaio e che il giorno dopo bisognava tornare sui banchi. Sembra una boutade, ma non lo è affatto e a segnalarlo è una ricerca del portale Skuola.net alla vigilia del rientro in aula: sono stati interpellati 2.800 alunni di scuole superiori e università. I risultati sono davvero preoccupanti perché il 45% degli intervistati indica l’ansia come emozione prevalente quando si pensa alla fine delle vacanze e al ritorno alla routine da studente; un altro 15% parla addirittura di sconforto, di assenza di stimoli; il 12% vorrebbe proprio scappare via e andare altrove, per non affrontare la situazione. Mentre l’8% prova soprattutto collera. Appena 1 su 5, invece, si dichiara tranquillo, possibilista o contento.
Insomma, la classe dirigente del futuro in larga misura va in crisi quando deve tornare a studiare dopo un paio di settimane di vacanza. Il cosiddetto “mal di scuola” con varie sfumature riguarda, infatti, oltre 8 giovani su 10. Ed è un esito imbarazzante perché i giovanotti e le giovanotte devono semplicemente tornare a fare il loro “lavoro”: apprendere gli insegnamenti che vengono loro forniti per metterli in pratica nella futura attività professionale e, più in generale, nella vita. E’ così complicato? E’ così sconvolgente? Mah…
Iperprotetti, ipercoccolati, abituati a ricevere troppi sì (e pochissimi no), i millennials (a proposito, sono i nati a partire dal Duemila) vanno in ambasce già per il rientro in aula, manifestando un disagio costante, che spesso sfocia in attacchi di panico. Ma il problema diventa ancora più serio quando si pensa che il senso di disagio diffuso non si limita al momento della fine delle vacanze – traumatico un po’ per tutti, anche per noi boomer (quelli nati negli anni Cinquanta e Sessanta) – ma che prosegue per ampi tratti dell’anno. Infatti, solo 4 studenti su 10 si sentono a proprio agio tra le mura scolastiche o universitarie. Di contro, per la maggior parte di loro questa serenità si palesa raramente (47%) o addirittura mai (14%).
E ancora, una quota elevatissima di ragazze e ragazzi, all’interno della “comunità” scolastica o universitaria, si sente come un pesce fuor d’acqua: il 71% degli intervistati dice di essere poco o addirittura mai sostenuto dai propri docenti, mentre il 45% assegna un giudizio negativo al livello di benessere nelle relazioni interpersonali con i compagni di classe o di corso. Le scorie del “mal di scuola” naturalmente si portano anche a casa. Oltre un terzo degli intervistati (35%), ad esempio, ha un rapporto tendenzialmente disagevole pure con i genitori. Mentre la metà (50%) spesso e volentieri non sta bene neanche con sé stesso.
“Purtroppo la nostra scuola sta normalizzando qualcosa che normale non è: la crescita consistente del disagio psico-fisico degli studenti connesso con la frequenza della scuola o dell’università – commenta Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net -. Un malessere che di norma colpisce 6 studenti su 10 e che prima di rientrare alle normali attività raggiunge il suo picco: ben 8 su 10 provano sentimenti negativi quando tornano a sedersi tra i banchi. A questo disagio non sono estranei rapporti interpersonali con docenti e compagni di classe, sempre meno profondi e, quindi, incapaci di generare quella serenità che invece dovrebbe essere parte di un contesto educativo”.
Per carità, senza sottovalutare situazioni reali di difficoltà, si ha la sensazione che si tenda ad ingigantire troppo problematiche che invece andrebbero inquadrate in ambiti più semplici e connessi ai normali processi di crescita di un adolescente. I ragazzi vanno abituati ad affrontare e a risolvere le questioni (gradi o piccole che siano) che si presentano quotidianamente. Non ci deve essere sempre qualcuno che pensa e agisce per conto loro: non è così che si acquisisce maturità e consapevolezza. E’ un compito difficile che spetta, in primis, alle famiglie, affiancate sicuramente dalla scuola e da altri enti (sportivi, culturali, di volontariato…). Altrimenti, non ci si dovrà meravigliare se i nostri figli, anche da adulti, continueranno ad essere considerati “bamboccioni”.
Buona domenica.
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