Amarezza e rabbia. Tanta amarezza e tanta rabbia. Sono i sentimenti più comuni dopo che si è diffusa la notizia del ritorno in libertà di Giovanni Brusca, il killer che tra le decine di omicidi commessi nella sua lunga carriera di mafioso ha sulla coscienza anche quello del giudice Giovanni Falcone, visto che fu lui a premere il pulsante del telecomando che a Capaci fece saltare per aria l’auto del magistrato e quella della scorta. Il boss del mandamento di San Giuseppe Jato (dove è nato nel 1957) ha scontato 25 anni di carcere e quattro di libertà vigilata: adesso vivrà lontano dalla Sicilia, sotto falsa identità e nel programma di protezione.

Giovanni Brusca
“Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’autobomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento”.
L’agghiacciante affermazione è dello stesso Brusca, è tratta dal libro Ho ucciso Giovanni Falcone di Saverio Lodato e scuote le coscienze di tutti, non solo i sentimenti di chi in qualche modo ha ricevuto dolori lancinanti da quelle feroci esecuzioni: dunque, di fronte al ritorno in libertà di chi di quegli efferati delittti fu protagonista, si resta attoniti, sconcertati, sconvolti. Come è possibile accettare una simile situazione? Come ci si può rassegnare ad una verità che fa male e rinnova ferite che non si sono mai rimarginate?

Giovanni Falcone con le altre vittime della strage di Capaci
Il fatto è che (purtroppo o per fortuna) è la legge che permette tutto ciò. Una legislazione premiale verso i pentiti della malavita organizzata, voluta proprio da Falcone per favorire le infiltrazioni nei meandri della “cupola”, allora (e anche adesso) piuttosto refrattaria alle contaminazioni esterne e dunque a scoprirne i segreti e le connivenze. Certo i tempi sono cambiati: la mafia ha abbandonato i metodi crudeli delle esecuzioni pubbliche e degli attentati eclatanti, preferisce agire sotto traccia, pensando solamente agli affari piuttosto che alle vendette e alle ritorsioni. Ma il punto rimane costante: se si vogliono colpire le organizzazioni criminali, bisogna entrarci “dentro” e sporcarsi le mani con i premi per i pentiti per smascherare mandanti, esecutori e complici.

Tina Montinaro durante i funerali del marito
“Questa non è Giustizia”: lapidaria Tina Montinaro, vedova di Antonio, caposcorta del giudice Falcone, la giovane donna che durante i funerali chiese ai mafiosi di pentirsi. E aggiunge: “Lo so bene che è stata applicata la legge, ma sono molto amareggiata. Ritengo che questa non è Giustizia né per i familiari né per le persone per bene”. Ancora più duro l’intervento il commento di Giuseppe Costanza, autista del giudice, miracolosamente sopravvissuto alla strage di Capaci: “Non dovrebbe uscire dal carcere. Queste persone che hanno ucciso anche bambini non dovrebbero uscire più di prigione… Dovrebbero uscire dalla tomba anche Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo… E invece adesso Brusca ce l’abbiamo in giro”.

Giuseppe Costanza, l’autista di Falcone
“È vero – continua – la legge va applicata ma io su questo è meglio che non mi pronuncio. Ribadisco che quando ci sono stragi con tante persone uccise, ci dovrebbero essere giudici più consapevoli. Perché non è corretto che lui sia un uomo libero. Brusca ha scontato 25 anni di detenzione ma chi è morto non torna più in vita”.
“C’è poco da dire: la legge è questa – interviene Alfredo Morvillo, fratello della moglie di Falcone e anche lui magistrato -. È una vicenda che sta nell’ordine delle cose. Ha scontato la pena, ha usufruito del trattamento previsto dalla legge per i collaboratori. Dico solo che, anche da uomo libero, resta un criminale”.

Alfredo Morvillo
“Capisco la rabbia, ma la legge che ha permesso la scarcerazione l’ha voluta Falcone. Grazie ai segreti confessati da Brusca abbiamo incarcerato centinaia di mafiosi”, spiega Pietro Grasso, già procuratore nazionale antimafia e presidente della Fondazione scintille di futuro. “Lo so – sottolinea ancora – la prima reazione alla notizia della liberazione di Brusca è provare rabbia e indignazione. Vale per tutti, anche per me. Ma dobbiamo evitare reazioni di pancia e ragionare insieme. La legge per cui ora, dopo 25 anni di carcere e 4 di libertà vigilata, è considerato libero l’ha voluta Giovanni Falcone, ed è la legge che ci ha consentito di radere al suolo la cupola di Riina, Provenzano e Messina Denaro, che negli anni 80 e 90 ha insanguinato Palermo, la Sicilia, l’Italia”.

Pietro Grasso
“Grazie ai segreti confessati da Brusca infatti abbiamo potuto evitare altre stragi, incarcerare centinaia di mafiosi e condannarli a pene durissime e centinaia di ergastoli – conclude -. Ripeto quello che ho detto quattro anni fa: con Brusca lo Stato ha vinto tre volte. Quando lo ha catturato, quando lo ha convinto a collaborare e ora che è un esempio per tutti gli altri mafiosi. L’unica strada per non morire in carcere come Riina, Provenzano e Messina Denaro è collaborare con la giustizia. Certo è che se mai dovesse commettere un qualsiasi tipo di reato non avrà alcuno sconto. Quello che mi preoccupa, e dobbiamo vigilare che non accada mai, è che si rischia di concedere benefici a chi, come Graviano, non ha mai collaborato. Il modo in cui uno Stato onora le vittime è contrastando la mafia e cercando di sconfiggerla con tutte le forze e con tutta la forza del diritto”,

Maria Falcone
Ma l’analisi più lucida e razionale, per quanto pervasa da un dolore che non può finire, arriva da Maria Falcone, la sorella del giudice ucciso: “Come cittadina e come persona direttamente coinvolta, non posso nascondere la profonda amarezza che questo momento inevitabilmente riapre. Ma come donna delle Istituzioni sento anche il dovere di affermare con forza che questa è la legge. Una legge voluta da Giovanni e ritenuta indispensabile per scardinare le organizzazioni mafiose dall’interno”. Ricorda poi che Brusca “ha beneficiato di questa normativa, ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia che ha avuto un impatto significativo sulla lotta contro Cosa Nostra. Le sua confessioni hanno contribuito all’arresto di numerosi mafiosi e alla confisca di beni illeciti. Tuttavia non si può ignorare che la sua collaborazione non è stata, su ogni fronte, pienamente esaustiva. In particolare, rimane tuttora un’area nebulosa riguardante i beni a lui riconducibili, per i quali la magistratura ha il dovere di continuare a indagare e chiarire ogni dubbio: colpire i mafiosi nei loro interessi economici è la pena più dura, privarli del denaro è ciò che li annienta davvero”.

Maria Falcone, alle spalle la foto del fratello ucciso
“Il mio giudizio personale, come sorella di Giovanni Falcone, oggi rimane distinto da quello istituzionale – conclude -. Brusca è autore di crimini orrendi, come il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito, che fu tenuto prigioniero per 779 giorni e poi strangolato e sciolto nell’acido e non trovo parole per esprimere il mio dolore e rabbia personale che altrettanto e ancora più grande sarà da chi ha subito questi orrori. Ma proprio per questo, oggi rinnovo il mio impegno, e quello della Fondazione che porta il nome di Giovanni, a continuare a lavorare per il rispetto della legge, fondamento della nostra democrazia”.
Di fronte ad una tale lezione di dignità e compostezza, si può solo restare in rispettoso silenzio.
Buona domenica.
Nell’immagine di copertina, l’arresto del boss mafioso Giovanni Brusca
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