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Il genio di Béjart e della sua musa Rita

di | 2021-03-20T17:50:51+01:00 21-3-2021 6:35|Personaggi, Sezione 8, Spettacolo|0 Commenti

ROMA – Chi ha dimenticato Maurice Béjart, gli scrosci di applausi, le grida di consenso, il rombo che sembrava far crollare i soffitti, quando egli appariva sul palco? Era il portatore di grandissime innovazioni nella danza negli anni ’50, e l’interprete di tali rivoluzioni era la prediletta Rita Poelwoorde, oggi settantenne. Lui, ballerino e coreografo marsigliese (1927-2007) irruppe nella realtà della danza mondiale come una bomba: basso, scuro, occhi chiarissimi e penetranti, conquistato al balletto dal francese Serge Lifar, sovvertì l’universo coreutico in tutto il mondo, sottraendolo alle Accademie e spingendolo negli stadi e nelle piazze, abolendo i secolari “en dehors” a favore degli eretici “en dedans”, facendo uso espressionistico delle mitiche punte, e creando nel ‘60 il celebrato Ballet du XX siècle, a Bruxelles.

Maurice Béjart con Rita Poelvoorde ventenne sulle spalle

Rita Poelwoorde

In questo gruppo entrò nel ’71 una ventenne, Rita Poelwoorde nata ad Anversa nel febbraio 1951, quasi una bambina: Béjart la portava sulle spalle, e ne intuì da subito le eccezionali doti di danzatrice. Negli anni ’70 la impiegò in coreografie stupende, sicchè Rita danzò col favoloso Jorge Donn, in geometrie astratte e immobili nella loro perfezione. Il marsigliese – di 24 anni più della Poelvoord – la adorò, e con lei interpretò il film “Je t’aime, tu danses” di François Weyergans. Il dinamismo delle coreografie ideate da Béjart saliva su per le esili gambe di Rita, come un soffio ascendente sotto la sua pelle, pronta a recepire ogni di lui comando. Ma fuori dalle sale-prova, nottetempo egli spesso la bloccava coi fari dell’auto addosso, in un gioco amoroso, quasi da ragazzi. La condusse in Italia, dove nel 1974 al Teatro dell’Opera di Roma la volle ne “La gaités parisienne” e nella stupenda sua coreografia dei trecenteschi “Trionfi” del Petrarca, sulla musica di Luciano Berio intitolata “Nella dolce memoria di quel giorno”.

Ma per quale intoppo quest’opera, nata per l’Italia, non è stata più rappresentata nel nostro Teatro? Tra i raffinati “Trionfi” – dell’Amore, della Pudicizia, della Morte, del Tempo e dell’Eternità – indimenticabile era il silenzio del Tempo, fatto di una sostanza musicale collosa, che immobilizzava ogni cosa: altrettanto indimenticabile era – nel Trionfo della Pudicizia – la candida e sottilissima figura dell’Unicorno, che – perfetta nel ruolo tutto in punta – lasciava indovinare la purezza corporea di Rita Poelwoorde. Fino al 1985 ella fece coppia coi grandi della danza, con Jorge Donn, con Vasiliev e molti altri: giunta all’apice, si ritirò dalle scene passando allo yoga, tecnica che Béjart volle che ella introducesse nel Mudra, laboratorio da lui fondato a Losanna per danzatori d’eccellenza, e per la sua stessa compagnia (Béjart Ballet Lausanne), nata dallo scioglimento del Ballet du XX siècle di Bruxelles.

Rita Poelwoord oggi

Da allora essi si separarono di fatto: Maurice, negli ultimi tempi sempre più oscuro e solitario (ma spesso condusse la sua Compagnia al Teatro Olimpico in Roma, per le ultime discutibili coreografie), morì nel 2007 a Losanna. Rita, passata in Italia, fece suo il mondo della luce e dei colori del mediterraneo, dimenticando il plumbeo grigiore nordico che pur vide la sua stupenda ascesa artistica. Con Davide Gallesi, ha fondato a Carpi (Modena) la Surya Dance Company: e qui, dove ella ha compiuto il 70. anno della sua vita – pur nel suo muto e silente riparo – resta il simbolo di una stagione d’oro della danza mondiale, portandoci il sentore delle vaste pianure coreografie di Maurice Béjart, grande tra i più grandi della danza, come Nijinskij o Nureiev.

Paola Pariset

Nell’immagine di copertina, il coreografo Maurice Bejart

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