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Le vittime dei naufragi ricordate in un concerto

di | 2025-06-30T18:49:17+02:00 29-6-2025 0:05|Sezione 2, Spettacolo|0 Commenti

ROMA – Un rito per ricreare la comunità intorno a morti senza nome, per restituire loro dignità, per curare una ferita inferta all’umanità. Per fare giustizia storica. Nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, il “Requiem per le Genti del Mediterraneo” – un evento corale su musica di Pietro Caraba e testo di Alfonso Ottobre – ha voluto essere una grande cerimonia, una commemorazione “a-confessionale” in onore delle stimate 1000 vittime di quella che è considerata la tragedia più grande del Mediterraneo: il naufragio del barcone nel Canale di Sicilia il 18 aprile 2015.

Il maestro Piestro Caraba

Un progetto arrivato fin qui dopo anni di lavoro di Rita Inglese, psicoterapeuta, che il caso volle si trovasse come docente con i suoi studenti, in quella notte terribile, in un ex luogo di cura per indigenti, a Palermo, nel quartiere Ballarò. L’incontro con i sopravvissuti a quell’ecatombe proprio in questa struttura, tornata per l’occasione alla sua antica vocazione, fu dirompente. Donne, bambini, adolescenti con traumi di vario livello, materiale umano su cui gli allievi della scuola di psicoterapia – ma anche tutta la popolazione che dall’intera Sicilia si mobilitò per portare aiuti – si trovarono ad operare come professionisti dell’anima ma soprattutto come persone che incontrano altre persone.

Rita Inglese

“Uno choc violentissimo – racconta Rita Inglese – che io ho avuto subito l’esigenza di trasformare in un messaggio umanitario, universale, che restituisse dignità a quei morti in mare, che non fossero dimenticati, per i quali ci fosse un monumento, perché non accadesse più”. La sintesi di tutto il lavoro della dottoressa Inglese è stato il concerto, promosso dall’Arpi e patrocinato da Acli, UNHCR, Croce Rossa, Caritas, Arci e molti altri, cui hanno preso parte tre cori: “Voxel”, “Entropie Armoniche”, “Città di Bastia”, sulle note dell’orchestra “Genti del Mediterraneo”.

Ciò che è risuonato nelle volte della basilica è stata la voce di tutti i sommersi nel nostro mare, il dolore di coloro che sono morti e continuano a morire senza che i familiari ne sappiano più nulla, senza essere riconosciuti. Le loro tracce scompaiono dal mondo come se non vi avessero mai camminato “e questo – sottolinea Rita Inglese – accade perché esistono confini disegnati da alcuni uomini a danno di altri”.

Il violino realizzato con il legname del barcone naufragato

E’ per questo che, nell’armonia volutamente “corale”, ha potuto esibirsi da solista, unica, Misia Iannoni Sebastianini. Le sue note hanno avuto un valore simbolo altissimo perché quello da lui suonato è il “violino del mare”, realizzato con il legno di “quel” barcone, quello affondato nel 2015 il cui legno viene trasformato dal liutaio Salvatore Zappalà in strumenti raffinatissimi.

Fofanà, sopravvissuto al naufragio

Emozioni fortissime, quelle provate nelle navate gremite di pubblico, in cui il dolore di quella notte si è sublimato in quella forma altissima di arte e bellezza che si è fatto richiamo per tutta l’umanità, affinchè faccia qualcosa perché quel Mediterraneo non sia più confine ma legame tra due continenti. Emozioni che si sono ripetute con intensità via via crescente quando ha parlato con la voce rotta la stessa ideatrice del progetto e, ancora, quando a farlo è stato Fofanà, il 15enne (oggi con dieci anni di più), che fu costretto a guidarlo quel barcone, la cui storia ha ispirato il film “Io, capitano” di Matteo Garrone.

Il concerto è stato il punto d’arrivo di un intreccio di energie che da oggi in poi si impegneranno per andare oltre questo primo evento, raccogliendo fondi ai concerti in cui sarà eseguita l’opera di Caraba. Dopo Christoph Büchel, l’artista svizzero che ha fatto di tutto per portare quel barcone, provocatoriamente come un’opera d’arte, alla biennale di Venezia, il nuovo monumento intorno al quale verrà tenuta “accesa la luce” sui dispersi in mare vuole essere quello ideato e portato avanti da Rita Inglese.

Lei stessa ha così motivato, scrivendolo, il suo progetto artistico e culturale: “Per rompere il silenzio, per unire in un amorevole abbraccio il dolore che abita ogni sponda del Mediterraneo, per celebrare un rito di ricordo e saluto dedicato a tutti i sommersi. Per costruire memoria collettiva da storie frammentate, narrandole nella verità. Per transitare, ancora e ancora, dall’essere anonimi all’essere anime. Per il potere che ha un sogno. Perché le nostre voci contengano milioni di altre voci. Perché il loro desiderio di vita ed il loro coraggio respirino in ciascuno di noi, divenendo impegno quotidiano. Perché siamo comunità umana e abbiamo a cuore la vita”.

Gloria Zarletti

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